Il Paese si risolleva
se si difende l’unità

È vero che questo 2 Giugno in epoca di Covid e distanziamento sociale è diverso da tutti quelli che lo hanno preceduto, ma tra le sue maggiori diversità c’è il fatto che mai, dal 1946 ad oggi, una forza politica si era permessa di promuovere manifestazioni di parte nel giorno della festa della Repubblica in cui per definizione il Paese si mostra unito intorno al Capo dello Stato, alla Bandiera e alle sue Forze Armate. Per più di sette decenni di storia la politica con le sue divisioni ha sempre rispettato la pausa in questa festa: per un giorno tutti uniti ad applaudire il nostro essere comunità nazionale e repubblicana. Una tradizione piena di significati quest’anno è stata rotta: dal centrodestra di Salvini, Meloni e Tajani e da un estremismo «arancione» di difficile definizione - estrema destra, neofascista, punkabbestia, chissà - che si è coagulato intorno all’ex generale dei carabinieri Antonio Pappalardo.
Al centrodestra la manifestazione deve essere sfuggita di mano.

Doveva essere, parole di Giorgia Meloni, una iniziativa simbolica, flash-mob con poche persone distanziate per rispettare le norme sanitarie e una grande bandiera a piazza del Popolo a Roma. È finita invece con un gigantesco assembramento di migliaia di persone a pochi centimetri l’una dall’altra, spesso senza mascherina, e con Salvini pronto a fare i suoi selfie in un bagno di folla che evidentemente gli mancava da tempo.

Una situazione che ha facilmente prestato il fianco a moltissime critiche ma che ha offerto lo spettacolo di un disagio sociale che si va allargando giorno dopo giorno e che prima o poi esploderà. Il centrodestra di quel disagio si vuol fare portavoce accusando di incapacità il governo Conte e chiedendo elezioni anticipate il prima possibile. Gli avversari di Salvini e Meloni dicono che l’opposizione in realtà sta soffiando sul fuoco per fare di quel disagio e di quella rabbia il motore del proprio consenso per poter finalmente arrivare a palazzo Chigi sull’onda di percentuali elettorali inattaccabili.

Sia come sia, quel disagio esiste e rischia di aumentare se i provvedimenti messi in campo da Conte e Gualtieri non riusciranno a disinnescarlo: le cifre dei fondi stanziati (a debito, non dimentichiamocelo mai) sono imponenti eppure la protesta di chi «non ha avuto niente» sale sempre di più. Sarà per la complicazione delle norme, la lentezza della burocrazia, la manina corta delle banche, o sarà anche per la scelta governativa - Gualtieri l’ha rivendicata con orgoglio - di «aiutare tutti» che alla fine significa aiutare nessuno. Questa è almeno la critica delle categorie sociali e della Confindustria di Carlo Bonomi per il quale «fa più danni la politica che il Covid», frase che Romano Prodi considera «distruttiva» ma che, con la sua ruvidezza, dà conto dello stato d’animo di molti imprenditori.

L’inquietudine sociale può avere una deriva pericolosa, quella di cui i fan di Pappalardo ci hanno dato un’immagine eloquente ancorché grottesca e demenziale («Il virus non esiste!» «Le mascherine sono un inganno del governo», ecc.). Ed è esattamente a questo che evidentemente Mattarella pensa quando avverte che dobbiamo difendere «l’unità morale del Paese» se vogliamo che l’Italia riparta e si risollevi. È la ragione per cui il Capo dello Stato - verso il quale dalle piazze sono arrivati inqualificabili insulti che speriamo saranno perseguiti - chiede ai partiti di «non brandire» gli uni contro gli altri le sofferenze degli Italiani. È a questa chiamata alla responsabilità che arriva dal Presidente nel giorno più solenne della vita della Repubblica, proprio mentre visita Codogno, che i partiti devono rispondere mostrandosi all’altezza della sfida. Ne saranno capaci?

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