Il pasticcio autostrade
finirà male comunque

Comunque vada a finire, la vicenda Governo-Autostrade per l’Italia sarà un insuccesso. La questione della revoca della concessione autostradale ad Aspi, la società controllata da Atlantia, a sua volta controllata dalla holding dei Benetton, si è trascinata per troppo tempo. Al punto che si è fatto prima a costruire il nuovo ponte di Genova progettato da Renzo Piano. E ora? Ci sono varie ipotesi, tutte poco vantaggiose per lo Stato. La prima, che sembra perdere quota, è che il premier Conte, come tante volte promesso, dia un seguito alle sue parole e confermi la revoca Comunque vada a finire, la vicenda Governo-Autostrade per l’Italia sarà un insuccesso. La questione della revoca della concessione autostradale ad Aspi, la società controllata da Atlantia, a sua volta controllata dalla holding dei Benetton, si è trascinata per troppo tempo. Al punto che si è fatto prima a costruire il nuovo ponte di Genova progettato da Renzo Piano. E ora? Ci sono varie ipotesi, tutte poco vantaggiose per lo Stato. La prima, che sembra perdere quota, è che il premier Conte, come tante volte promesso, dia un seguito alle sue parole e confermi la revoca.

A rimanere con un pugno di carta straccia non sarebbero soltanto i grandi investitori internazionali, ma anche quei 17 mila piccoli risparmiatori che hanno sottoscritto un prestito obbligazionario di 750 milioni di euro. Al dramma dei piccoli e grandi detentori del prestito si aggiunge il più grave dramma della sorte di 7.340 dipendenti di Autostrade per l’Italia. Che ne sarà di loro? Al di là delle vicende personali, lo Stato ci rimetterà altro denaro – come è giusto beninteso, in questi frangenti - in termini di ammortizzatori sociali.

Ecco perché sarebbe bene pensarci non una, ma mille volte prima di revocare la concessione e ieri sera sembrava profilarsi più un’uscita graduale, almeno sei mesi, di Atlantia. Il viceministro delle Infrastrutture Giancarlo Cancellieri ha proposto di far pagare l’indennizzo da sette miliardi alla società che rileverà la manutenzione e i pedaggi della rete autostradale, ma è chiaro che la clausola dell’«indennizzo sospeso» renderà ancora più difficile l’eventualità che si faccia avanti qualcuno. Inoltre non si risolverebbero le gravissime conseguenze occupazionali e finanziarie.

Nel caso in cui invece il governo intendesse «accontentarsi» dei 3,4 miliardi di risarcimento messi sul piatto dai Benetton a mo’ di riparazione e confermare la concessione («proposta imbarazzante», l’ha definita Conte), ci sarebbero conseguenze sul piano morale, a cominciare dai parenti delle vittime del crollo del Ponte Morandi che hanno chiesto la revoca del contratto. Fin qui il premier è stato tanto categorico nei confronti di Aspi quanto immobile nel passare a vie di fatto. Si è persino parlato di una partnership Stato-Benetton ma Conte l’ha esclusa quasi sdegnato. «Sarebbe davvero paradossale», ha detto, «se lo Stato entrasse in società con i Benetton, per le gravi responsabilità accumulate dal management nel corso degli anni fino al crollo del Morandi e anche dopo». Responsabilità, a dire il vero, ancora al vaglio della magistratura e non ancora dimostrate, almeno dal punto di vista giuridico.

È noto che Conte deve tenere a freno i mal di pancia dei Cinque Stelle, che hanno sempre gridato alla revoca e hanno già espresso un verdetto morale all’indomani della tragedia, non ritenendo sufficiente l’inchiesta della Procura di Genova. E allora vedremo come andrà a finire. Ormai i nodi stanno venendo al pettine. Finora è sembrato che Conte facesse la voce grossa più per tenere a freno il suo partito di riferimento, mentre nei fatti si è rivelato molto cauto. Pochi giorni fa ne ha parlato anche con la Merkel, poiché tra gli investitori in Aspi ci sono anche i tedeschi di Allianz, oltre al solito fondo cinese (questo si chiama Silk Road, ormai sono come funghi nei mercati ). L’informativa al consiglio dei ministri in fondo non scioglie la questione. Vedremo quando Conte calerà veramente le sue carte.

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