Il richiamo dell’Europa
Il governo cerca sponde

Le difficoltà che a Bruxelles incontra l’approvazione del bilancio pluriennale e con esso il cammino del Recovery fund si ripercuotono immediatamente sulla scena italiana dove è finalmente comparsa la Manovra economica da 38 miliardi e, insieme, la notizia di un nuovo aumento del deficit pari a circa 20 miliardi. E si riflette perché le resistenze dei cosiddetti «Paesi frugali» da una parte, i ricatti di polacchi e ungheresi dall’altra, stanno ritardando l’attuazione del maxi piano che dovrebbe mettere l’Europa in condizione di rialzarsi dopo la pandemia: si tratta, come è noto, di 750 miliardi – di cui 209 destinati all’Italia tra prestiti e sostegni a fondo perduto – il cui arrivo a destinazione rischia di scivolare oltre la data prevista e toccare l’estate 2021.

Questo ritardo potrebbe mettere in rilievo la debolezza della Manovra italiana – considerata insufficiente sia dalla Confindustria che dai sindacati – e creare non pochi problemi sociali che oggi sono solo attutiti dal blocco dei licenziamenti e dall’ennesima proroga della cassa integrazione (almeno su questo i fondi ci sono: ieri la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha annunciato un ulteriore erogazione di 6,5 miliardi).

Giuseppe Conte guarda a Bruxelles e si rassicura quando Paolo Gentiloni, commissario agli Affari economici, sostiene che Polonia e Ungheria alla fine si piegheranno e che il piano arriverà in tempo. Però Conte sa anche che la Commissione, Gentiloni in testa, è irritata dai ritardi con cui Roma lavora alla presentazione dei progetti che dovranno essere finanziati con quella montagna di euro che, beninteso, arriveranno non a piedilista ma solo a fronte di carte molto dettagliate (che pare ancora non ci siano).

In tutto ciò, è fatale che si riaccenda la polemica sul Mes e sui suoi 37 miliardi a tasso zero che né i grillini né l’opposizione vogliono e che invece Gualtieri e Zingaretti invocano (quanto a Conte, si barcamena tra gli uni e gli altri). E così basta che David Sassoli, presidente piddino del Parlamento europeo, dica che «il Mes va riformato» che subito Luigi Di Maio colga la palla al balzo e dichiari «chiusa la questione del ricorso al Fondo che persino Sassoli critica e che nessuno vuole»: immediata scatta la reazione dei senatori democratici che non solo non considerano conclusa la faccenda ma intendono insistere, a maggior ragione ora che si teme il ritardo del Recovery fund.

La scarsità delle risorse non giova peraltro al confronto del governo con le parti sociali: i sindacati sono furibondi per aver visto il documento solo dopo che era già stato varato dal Consiglio dei ministri, e quindi senza aver avuto da Conte la concreta possibilità di negoziare delle modifiche; e la Confindustria di Carlo Bonomi perché ritiene la Manovra del tutto inadeguata rispetto alle necessità della ripresa e poco coraggiosa negli investimenti produttivi e nel sostegno alle imprese.

Un clima dunque di grande tensione che si riverbererà sul dibattito parlamentare che comincerà a breve: lo scoglio è soprattutto al Senato dove i numeri del governo sono assai ballerini. Lo scostamento di bilancio deve essere votato a maggioranza assoluta e non è detto che Conte e Gualtieri riescano a superare lo scoglio con le sole forze della maggioranza. Il soccorso «azzurro» dei berlusconiani è pronto a scattare ma, per averlo, occorre che qualcuno si prenda la responsabilità di chiederlo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA