Il rischio urne
di un Paese fermo

Nessun pasto è gratis, si dice in economia. Vale anche per l’attuale crisi di governo e le conseguenti elezioni anticipate. Se si svolgeranno in autunno, rischiano di costarci parecchio. Una campagna elettorale infatti è densa di promesse, in gran parte impossibili da mantenere. Se ne inventeranno di tutti i colori. Si aggiungeranno a quelle che ancora stiamo smaltendo dalle precedenti elezioni (Quota 100 per le pensioni, Reddito di cittadinanza, etc.) e che hanno portato allo sforamento del deficit e al braccio di ferro con l’Europa. Il problema è che l’Italia si è fermata e dunque – tra le mille conseguenze negative – produce meno reddito, meno occupazione e meno gettito fiscale: il Prodotto interno lordo non supera lo 0,1%.

A tutto questo dobbiamo aggiungere il problema endemico del nostro ipertrofico debito pubblico, sempre meno sostenibile, il deficit eccessivo, il contenzioso mai sedato con Bruxelles. I vecchi commissari ci hanno risparmiato la procedura d’infrazione grazie anche al certosino lavoro di mediazione del premier Giuseppe Conte e del ministro dell’Economia Giovanni Tria; ma l’Unione europea non ha certo rinunciato a tenerci sotto osservazione. Nonostante l’avanzata europea dei sovranismi (che non hanno sfondato), la nuova Commissione non è certo diversa dalla precedente ed esprime ancora in maggioranza le forze europeiste liberal-popolari. Non è cambiato nulla circa il rispetto dei trattati e dei vincoli di Maastricht. Anzi. Al timone c’è Ursula von der Leyen, tedesca di Germania, principale Stato membro che, come è noto, è sempre stata un falco nei vincoli di bilancio. Quale sarà la nostra risposta ai moniti di Bruxelles? Minacciare di uscire dall’euro o dall’Unione come gli inglesi (che stanno già pagando profumatamente la loro Brexit in termini di economia e occupazione) e provocare un’impennata dell’inflazione, la «tassa dei poveri»?

Per non parlare dei mercati internazionali (che detengono buona parte del nostro debito sovrano) e che potrebbero trascinarci in una nuova bufera finanziaria come nel novembre 2011. Lo spread, il differenziale tra i titoli tedeschi e quello italiano, venerdì scorso è lievitato di 30 punti. I mercati preferiscono la stabilità politica e invece da noi l’incertezza regna sovrana, mentre avremmo bisogno di tranquillità, in un’epoca di grandi opportunità come questa dal punto di vista finanziario, con tassi d’interesse reali addirittura negativi sui titoli del debito pubblico. Opportunità che i nostri Paesi partner stanno tutti sfruttando senza fare guerre all’Europa.

Avremmo bisogno di un grande piano industriale che rilanci le filiere territoriali di eccellenza, in particolare per le piccole e medie imprese, una riforma legata alla formazione professionale per favorire l’ingresso dalla scuola al lavoro, un cuneo fiscale che favorisca l’inserimento occupazionale a giovani e ultra cinquantenni. Dobbiamo ancora attivare le grandi infrastrutture (come la Tav), abbassare le tasse a favore delle famiglie, fare scelte di efficienza energetica e sostenibilità ambientale negli investimenti. E invece in autunno probabilmente ci presenteremo davanti ai mercati con un esercizio provvisorio, mentre andrà in scena l’ennesima fiera delle promesse, per poi mettere a punto una manovra economica quanto mai complessa e complicata, a cominciare dalla sterilizzazione dell’aumento dell’Iva che altrimenti costerebbe – Dio non voglia – come minimo 500 euro a famiglia indebolendo i consumi. Ci risveglieremo scoprendo di essere in un incubo. E forse solo allora capiremo che il nostro problema non erano le Ong e i barconi al largo di Lampedusa.

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