Il rosario unisce
Salvini ne abusa

Sabato pomeriggio a Milano Matteo Salvini, al comizio di piazza Duomo, davanti a una distesa di bandiere blu e tricolori, ha baciato dal palco un rosario che dice di portare sempre in tasca, ha esibito un Vangelo, ha citato come in una litania i santi patroni d’Europa e ha concluso il suo intervento affidando l’Italia e la vittoria del suo partito e degli altri movimenti affini del vecchio Continente al Cuore Immacolato di Maria, «che sono sicuro ci porterà alla vittoria», alzando il capo e mandando ripetuti baci alla Madonnina, mentre dalla stessa piazza partivano fischi e ululati all’indirizzo di Papa Francesco. Non è la prima volta che il leader della Lega, ormai riconosciuto leader europeo del movimento sovranista, tira in ballo simboli della fede cristiana nei suoi comizi: dal Vangelo al presepio, dal rosario al Crocifisso, questi non mancano mai nei comizi o nelle manifestazioni leghiste. Ma come ha detto ieri il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, i simboli della fede cristiana, che è una religione pacifica e di fratellanza, sono unitivi e non divisivi, non dovrebbero mai essere invocati o esibiti in una contesa elettorale, che è divisiva per sua natura.

Evidentemente Salvini non si cura molto dell’idea di laicità che dovrebbe essere sottesa ad ogni azione politica. Gli esponenti della Democrazia Cristiana, che era un partito espressamente cattolico e che aveva le sue radici nel Partito popolare fondato da un prete, don Luigi Sturzo, un partito con la Croce sullo scudo come simbolo, mai e poi mai si sarebbero sognati di esibire o baciare un rosario in pubblico a un comizio o a una manifestazione, nemmeno Andreotti o Moro che andavano a Messa tutte le mattine. Forse non è un caso che la revisione del Concordato sia stata firmata da un laico socialista, Bettino Craxi per conto dello Stato italiano, e mai da uno dei premier democristiani che pure sono abbondati nella storia della Prima Repubblica. Probabilmente proprio per quell’idea di laicità che costituiva nella loro azione politica la loro stella polare, fino al rischio dell’autolesionismo.

Non può bastare insomma l’orgoglio per le proprie radici per strumentalizzare i simboli della fede cristiana, che è una fede viva in cui rosari e crocifissi diventano veicolo di contenuti trascendenti e mai simboli tesi a conquistare il consenso elettorale. Ma Salvini è anche il ministro degli Interni del Governo in carica. E non si può non notare la disarmonia tra i simboli della fede esibiti e la sua azione di governo. Mentre mostrava quasi idolatricamente come amuleti rosario e Vangelo, Salvini ordinava di tenere chiusi i porti delle coste italiane alla richiesta di una nave carica di vite umane recuperate nel Mediterraneo («Col piffero che apro Lampedusa», ha dichiarato senza mezzi termini). Era lo stesso Salvini che nelle stesse ore si vedeva ricevere dalle Nazioni Unite una condanna al suo decreto sicurezza per violazione dei diritti umani. Il Vangelo dice che bisogna amare il proprio prossimo come se stessi, come si legge nel Vangelo. Tutti, indistintamente, senza eccezioni di etnia o di confine.

A queste critiche il ministro ha risposto rivendicando, oltre le proprie radici, la sua vocazione a salvare vite umane. Strana e originale tesi, quella di salvare vite chiudendo i porti e negando l’approdo di gente salvata dall’annegamento, stremata per viaggi infernali, disidratati, spesso con la pelle bruciata per la miscela micidiale di kerosene e acqua di mare che aggredisce il passeggero durante la traversata sui gommoni e sui barconi della morte.

«Il Governo sta azzerando i morti nel Mediterraneo», si è vantato il ministro degli Interni dal palco, mentre il Mediterraneo purtroppo continua a ingoiare morti annegati come dimostra il recente naufragio al largo della Tunisia. Secondo l’Unhcr, tra chi si imbarca un migrante su tre perde la vita, le partenze sono indipendenti dalla politica dei porti. Una falsità dunque contraddetta dai numeri. A meno che per fermare una tragedia come quella delle morti in mare sia necessario un sacrificio di vite a perdere, per dissuadere tutti quelli che si accingono a partire. Può uno Stato di diritto accettare una barbarie del genere nel terzo millennio?

Ecco perché baciare idolatricamente il rosario in piazza rischia di essere solo un sacrilegio per chi ha fede. Ed è forse venuto il momento per i cattolici di indignarsi. Gridando dai tetti, come ha ricordato Parolin che «Dio è per tutti» e che «invocare Dio per se stessi», fosse anche la vittoria del proprio partito, «è molto pericoloso».

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