Il sangue dimenticato
di quei preti tra la gente

E’ una scia di sangue dimenticato. Gronda sul mondo e nessuno la racconta. È il sangue dei preti, pastori da macello, uccisi a decine e di cui si fatica anche a dare un volto. Gli ultimi due li hanno ammazzati tre giorni fa nella Repubblica Centrafricana, dove il Papa andò ad aprire il Giubileo della Misericordia, terra di violenza assoluta, guerra dimenticata, conflitto finito nel cono d’ombra dei media come quasi tutti quelli dove i sacerdoti vengono giustiziati perché stanno con la gente e della gente subiscono la stessa sorte di sangue. Si chiamavano Blaise Mada e Celestino Ngoumbango. Con loro il 15 novembre siamo arrivati a quota trentadue, cifra altissima e senza precedenti, un prete ammazzato ogni dieci giorni, già più del doppio dell’anno scorso e non siamo ancora alla fine del 2018.

Il giorno prima in Sud Sudan era stato ucciso padre Victor Luke Odhiambo, gesuita, direttore del Teacher’s Training Center gestito dalla Chiesa cattolica, nel mezzo di un’altra guerra dimenticata, il primo religioso kenyota ad entrare nella Compagnia del Gesù. Era un grande insegnante e un uomo coraggioso. Non sappiamo se l’elenco possa essere definito un martirologio in punta di diritto canonico. Ma sicuramente lo è per tutti coloro che danno la vita e amano. Sono uomini che mai si sono tirati indietro e hanno accolto l’ignoto del Vangelo, quel «vieni e vedi» che Gesù promette, senza certezze, senza sicurezza. Quasi nulla sappiamo di queste vite spezzate. Almeno scriviamo i loro nomi, le loro storie e quelle dei popoli per cui hanno donato la vita.

Il posto più pericoloso è il Messico, dove quest’anno sono già stati ammazzati sette preti. Poi l’Africa con cinque preti uccisi nella Repubblica Centrafricana e cinque ammazzati in Nigeria. A due di loro, padre Joseph Gor e padre Felix Tyolaha il 24 aprile nella chiesa di Ayar-Mbalom un commando ha sparato sull’altare dopo essersi fatto largo a colpi di mitra tra la folla dei fedeli. In Messico l’elenco va aggiornato di continuo. Dal 1990 ad oggi sono stati uccisi 45 preti, tra il cardinale Juan Jesús Posadas Ocampo, assassinato nel parcheggio dell’aeroporto di Guadalajara nel 1993. Stavano dalla parte della gente nella lotta senza quartiere che i narcos hanno dichiarato a chi cerca di contrastarli. Nella mattanza messicana sono finiti anche decine di catechisti e operatori pastorali di cui è difficile tenere il numero. Sono vere e proprie esecuzioni, spesso dopo giorni di torture, per rendere ancora più spaventoso il messaggio dei criminali alla Chiesa cattolica.

In Africa la situazione è la stessa. Negli attacchi alle popolazioni civili nel grumo delle violenze quotidiane dimenticate da tutti, i preti muoiono accanto a donne, uomini e bambini. Ma all’orrore si aggiunge sempre di più l’avvertimento per una Chiesa considerata scomoda, perché non intende proteggersi, perché non sta zitta, perché parla in nome del Vangelo. Le modalità lasciano attoniti e avvicinano le vittime al martirio. Cosa è se non martirio la morte di don Mark Yuaga Ventura il 29 aprile, ammazzato in disprezzo a Dio e al suo popolo nelle Filippine, la Messa appena conclusa, i paramenti ancora addosso, la veste liturgica che s’inonda di sangue, perché difendeva i poveri dalle pretese dei signori dell’economia che uccide, che da quelle parti ha il nome dello sfruttamento minerario. I preti sono le vittime della violenza globale degli interessi economici, della verità, della libertà, della lotta alla corruzione. Li ammazzano per farli tacere, anche se è del tutto inutile, perché è impossibile mettere il silenziatore al Vangelo, libro da prima linea, libro della resistenza mirabile dell’amore.

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