In Lombardia una sfida che inizia dal centro

Da Roma a Milano. Manco il tempo di tirare il fiato e il gong segna già l’inizio del secondo round di una battaglia elettorale che, iniziata con le politiche del mese scorso, proseguirà fino alle amministrative del 2024. La ripresa delle ostilità è stata sancita dalle dimissioni di Letizia Moratti dalla Giunta regionale: nulla di inatteso, per carità, era di tutta evidenza che dopo lo scontro frontale delle scorse settimane Palazzo Lombardia avrebbe perso un pezzo da novanta. Restava solo da capire come e quando.

Appena insediato il governo Meloni e dopo le prime decisioni sul Covid la vicepresidente ha preso cappello e se n’è andata. Chiaro (e noto) però che i motivi del contendere sono ben altri: l’ex vicepresidente contava di essere la candidata del centrodestra nella corsa a Palazzo Lombardia dei primi mesi del 2023, c’è chi dice il 5 febbraio o addirittura il 29 gennaio, tanto per non farci mancare il brivido di una campagna elettorale natalizia dopo aver vissuto quella ferragostana. Le sue dichiarazioni delle scorse settimane hanno semplicemente ufficializzato quello che era già evidente al suo insediamento nel gennaio 2021: prima la vicepresidenza con deleghe pesantissime e la grana della campagna vaccinale, poi la candidatura a governatore. Le era stata promessa, e non è più un mistero. Anzi.

E così, dopo settimane ad alta tensione, la Moratti ha rotto gli indugi entrando a gamba tesa in campagna elettorale. Perché la sua non è un’uscita di scena, nella corsa a Palazzo Lombardia ci sarà, resta da capire con chi. O meglio, appoggiata da chi. Non è un mistero che stia lavorando da tempo a una lista di centro che potrebbe ottenere l’endorsement del terzo polo, ma la domanda vera è che farà il centrosinistra, Pd in testa? Difficile pensare che la Moratti da sola possa insidiare Fontana, o chi per lui: perché qualche dubbio sulla sua riconferma rimane e non solo negli alleati (la rampante Fratelli d’Italia su tutti), ma nella stessa Lega, pare.

I sondaggi la danno accreditata di un buon consenso, soprattutto in quel milieu milanese da sempre congeniale per estrazione e frequentazioni. Il dubbio è sul seguito che possa avere nella Lombardia profonda, perché le Regionali (Fontana insegna) si vincono più a Vidigulfo o Sabbio Chiese che in corso Magenta o nei capoluoghi. E non pare un caso che la Moratti sia uscita dalla Giunta stigmatizzando (anche un po’ pretestuosamente, va detto...) le decisioni di un governo che sul Covid sta strizzando l’occhio a posizioni no vax: sa bene che in una Lombardia che prima ha pagato un terribile prezzo alla pandemia e poi dimostrato un alto senso di responsabilità nella campagna vaccinale queste scelte stanno creando fior di mal di pancia e le potrebbero portare un inatteso consenso. O comunque eroderlo a un centrodestra che da ieri è semplicemente un rivale.

Ma la mossa, per quanto attesa, della Moratti rischia di spiazzare anche un centrosinistra che non ha ancora sciolto né il nodo del candidato né quello delle alleanze e che in aula non ha lesinato più e più volte critiche per la gestione delle politiche sanitarie. Come fare ora a sostenerla in una sfida a Fontana? Dove tra le altre cose non c’è ballottaggio, vince chi arriva in testa, e in passato esperimenti di centro non hanno sortito grandi risultati: non a caso il centrodestra (nei suoi diversi assetti) guida la Regione dal 1995. Sicuramente la sortita della Moratti indebolisce la maggioranza ma da sola potrebbe non bastare a impedirne la riconferma, magari più risicata e con un consenso distribuito più equamente su tre poli. Per questo ora la palla è nel campo del centrosinistra, ed è avvelenata perché obbliga ad uscire da schemi consolidati. Perdere (ancora) da soli, o magari provare a vincere mandando giù qualche boccone amaro in Letizia? Mica facile.

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