Incidenti, mettete
giù i telefoni

L’ecatombe sulle strade italiane di questi ultimi giorni, dalla Romagna alla Sicilia, richiama alla memoria le stragi del sabato sera degli anni Novanta, quando la domenica mattina si ripeteva il rito macabro della conta delle vittime, quasi sempre giovani o giovanissimi di ritorno dalle discoteche. Oggi molte cose sono cambiate, fortunatamente si muore molto meno sulla strada, ma si muore ancora. E soprattutto: sul tema sicurezza stradale non è ammesso abbassare la guardia.

Secondo gli addetti ai lavori il 40 per cento degli incidenti stradali è causato dalla distrazione e in un caso su quattro la causa è da imputare all’uso dello smartphone: i famigerati telefonini. L’ex procuratore Walter Mapelli chiamava «armi di distrazione di massa». Il magistrato scomparso l’8 aprile scorso era stato tra i primi ad intuire che era necessaria una stretta drastica, e giusto un anno fa aveva diramato una direttiva alle forze dell’ordine in cui aveva allargato sensibilmente i confini delle indagini sugli incidenti stradali, spingendo fino all’eventuale sequestro degli smartphone ai fini probatori.

Il prefetto Elisabetta Margiacchi, di fronte ai dati allarmanti pubblicati ieri, che indicano una frenata, se non un’inversione di tendenza, del trend virtuoso di riduzione delle vittime della strada, ha rimarcato il fatto che fondamentale è il comportamento umano. Ma ha anche disposto una task force di controlli in vista dei giorni più caldi dell’estate.

I grandi numeri svelano come le condotte dei singoli siano inevitabilmente condizionate da tre variabili: la quantità di gente che si sposta in auto (il parco macchine), le leggi in vigore e la capacità di farle rispettare. Posto che sulla prima variabile non c’è molto da fare (la densità di automobili nel nostro Paese è una delle più elevate d’Europa), sulla seconda e la terza la politica può fare molto. Basti pensare che i due più consistenti cali di vittime della strada si sono registrati con l’introduzione della patente a punti, nel 2003, e – molto più limitata in questo caso – con l’entrata in vigore della legge sull’omicidio stradale, nel 2016.

Insomma, ben vengano tutte le iniziative di sensibilizzazione e di formazione, ma senza leggi mirate e un sistema di controllo efficace, qualsiasi appello alla prudenza è destinato a cadere nel vuoto, o quasi. In questo senso va nella direzione giusta la proposta di modifica all’articolo 173 del codice della strada (attualmente all’esame della Camera) che introduce espressamente non solo il divieto dell’uso di smartphone, ma anche di computer portatili, notebook e tablet. Le sanzioni previste vanno dai 422 ai 1.697 euro, con sospensione della patente da sette giorni a due mesi.

L’ultima variabile, quella della capacità di far rispettare la legge, è la nota dolente, perché servirebbero ben altri organici a disposizione e strumenti più adeguati alle nuove tecnologie.

Spesso si punta l’attenzione sulla prevenzione e sulla comunicazione pubblica: c’è uno slogan di una famosa campagna di sicurezza stradale con il volto di Alex Zanardi, #CoverYourPhone, che ha conquistato simpatia e consenso. Ma senza strumenti di controllo resta una goccia nel mare: dove non arrivano gli appelli al senso di responsabilità deve arrivare lo Stato, con mezzi e strumenti adeguati per vincere la sfida che ci chiede l’Europa, cioè dimezzare le vittime nel decennio, ormai allo scadere, 2011-2020.

L’impresa non è ancora conclusa. I volti sorridenti dei ragazzi morti nell’ultimo weekend e i nomi delle trenta vittime bergamasche da gennaio a oggi, sono lì a ricordarcelo.

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