Inflazione da record, la guerra non spiega tutto

Il commento. Quanto costa un litro di latte? La risposta, alla fine di quest’anno, potrebbe essere – per la prima volta nel nostro Paese - la seguente: «Oltre due euro». L’allarme lanciato ieri in un comunicato congiunto dalle aziende Granarolo e Lactalis, che parlano di un aumento di prezzo «impensabile per un alimento primario e fondamentale per la dieta italiana», descrive meglio di tante teorie l’entità della sfida posta oggi dall’inflazione.

Il rialzo dei prezzi al consumo non investe soltanto noi, intendiamoci: in tutta l’Eurozona i prezzi ad agosto erano più alti del 9,1 per cento rispetto a un anno fa, in Italia «solo» dell’8,4 per cento. A preoccupare è la persistenza del fenomeno che assomiglia sempre meno a una «fiammata» improvvisa, destinata a scomparire così come è arrivata, e sempre più invece appare come un incendio che si nutre delle sterpaglie secche che incontra sul terreno, alimentandosene e rafforzandosi col tempo.

La questione di per sé non è nuova, ovviamente. Scriveva Luigi Einaudi in un articolo del 5 marzo del 1900: «Negli ultimi mesi un fenomeno, non nuovo nella storia economico del presente secolo, si è manifestato: l’aumento quasi generale dei prezzi, che ha sconcertato tutti i piani dei fabbricanti, ha fatto e fa gettare alte grida ai consumatori e del quale molti, meravigliati, non sanno rendersi ragione». Il fatto che non siamo di fronte a un qualcosa di completamente sconosciuto è forse l’unica consolazione che viene in mente. Allarma invece la nostra scarsa dimestichezza con uno sviluppo simile. L’ultima generazione di italiani, infatti, non ha mai nemmeno assistito a un incremento così sostenuto dei prezzi, arrivati ormai a un livello che non si registrava dal dicembre del 1985.

Preoccupa, soprattutto, la natura dell’inflazione contemporanea. Per capire perché, potrà essere utile parafrasare sempre lo stesso intervento di Einaudi di 122 anni fa: «Errerebbe chi volesse attribuire l’aumento dei prezzi soltanto alla guerra anglo-boera. Questa fu l’occasione che rese avvertito e subitaneo un aumento che si sarebbe manifestato ugualmente, forse con maggior calma», scriveva allora l’economista che poi sarebbe diventato Governatore della Banca d’Italia e infine Presidente della Repubblica.

Un metodo di analisi valido ancora per l’oggi. Sbaglierebbe infatti chi volesse attribuire l’aumento dei prezzi soltanto all’invasione russa dell’Ucraina. Certo, il conflitto ha contribuito a far salire le quotazioni dell’energia, gas in primis, che a loro volta sono all’origine di un innalzamento dei costi per imprese e famiglie che si sta progressivamente e inesorabilmente trasmettendo ai generi di consumo. Tuttavia gli squilibri in campo energetico erano cominciati a manifestarsi già prima della guerra, complice una vigorosa ripresa economica post-pandemia che ha dovuto fare i conti con un’offerta limitata di fonti energetiche e di investimenti nelle stesse, così come con una transizione ecologica calata dall’alto e con piglio «ortopedico» da parte dei decisori politici. Senza contare, come spiegato in un’intervista alla Stampa dall’economista americano Kenneth Rogoff, che altre dinamiche di lungo termine «porteranno a mantenere l’inflazione nel prossimo decennio a un livello molto superiore rispetto a quanto osservato nell’ultimo»: «La deglobalizzazione, un ciclo demografico avverso in Cina, le pressioni populistiche sulla politica fiscale e sull’indipendenza delle Banche centrali».Nulla che possa essere cancellato con uno schiocco di dita o con un semplice rialzo dei tassi della Banca centrale europea il prossimo 8 settembre.

© RIPRODUZIONE RISERVATA