Innovazione organizzativa, la priorità per la sanità

BERGAMO. La scorsa settimana la nostra città ha ospitato una due giorni di riflessione sul tema della salute. È stata un’iniziativa segnata da una forte partecipazione.

Oltre all’autorevolezza dei relatori, è evidente che il tema sanitario è ora e resterà a lungo una questione prioritaria, resa sempre più evidente dall’invecchiamento della popolazione, dall’impulso dell’innovazione medica, farmacologica e tecnologica e, ahimè, dalle ristrettezze di bilancio. Non si tratta peraltro di una vicenda solo italiana; essa è comune a tutti i Paesi occidentali sviluppati e anche a quelli di recente sviluppo come la Cina. L’«Economist» recentemente, ha dedicato uno speciale sul tema, rimarcando in particolare l’invecchiamento della popolazione e il contestuale e forte aumento della domanda sanitaria. La conclusione comunemente accettata è che si deve cambiare, si deve innovare.

Ma innovare in sanità per rispondere al bisogno di fare più cose e meglio non è per nulla banale. Quello che vorrei sottolineare in questo articolo è che ci concentriamo con maggiore naturalezza sulle nuove scoperte, sui nuovi strumenti e molto meno sull’organizzazione del sistema. In altre parole, quando pensiamo alla sanità e alle possibili evoluzioni, siamo troppo «tecnologici» e troppo poco «umani». Abbiamo un bisogno enorme di innovazione organizzativa, che riguarda gli individui, la loro formazione, il loro modo di lavorare e di interagire. Vediamo a titolo d’esempio alcuni aspetti.

Occorre in primo luogo riprogettare i profili formativi valutando chi può fare che cosa e sollevando il più possibile le figure specialistiche, dall’infermiere al medico, dai compiti burocratici. Va, poi, ripensata l’organizzazione dell’offerta visto che si è modificata di molto la domanda. Ad esempio, chiediamoci se per i cosiddetti «medici di base» sia ancora appropriato che si debbano dedicare a pazienti che hanno dai 18 ai 100 e più anni o bisogna individuare un nuovo segmento, quello della popolazione adulta, che segue quella pediatrica e precede quella anziana?

Occorre, inoltre, riflettere sui passaggi di personale medico tra pubblico e privato. L’impossibilità ad esempio per un medico di lavorare con il pubblico dopo il pensionamento (anche se solo 65enne) si traduce in un chiaro vantaggio per il privato e in una perdita per il sistema pubblico. Occorre, ancora, ripensare i profili giuslavoristici e le politiche di bilancio regionali con i tetti al rimborso, affinché diminuisca l’incentivo davvero poco virtuoso alle visite a pagamento. E dobbiamo, da ultimo, periodicamente verificare che tutti gli esenti dal ticket lo debbano essere per evidenti motivi di fragilità economica. Come si può osservare si tratta di innovazioni molto «umane» e poco «tecnologiche». Se poi vogliamo pensare anche alla tecnologia, non collochiamola solo sul piano pur importantissimo delle nuove scoperte, dei nuovi dispositivi e dei nuovi farmaci ma immaginiamola anche come capace di modificare l’organizzazione per rendere migliore il lavoro degli operatori e più efficiente l’intero sistema. Si pensi, ad esempio, alla digitalizzazione dei processi fino all’ultimo miglio per evitare che alla burocrazia analogica se ne aggiunga una digitale. Si pensi ancora al tema dell’uso dei dati: va certamente tutelato l’individuo e la sua privacy ma se questo ferma l’innovazione, dobbiamo fare uno sforzo di «pensiero laterale».

Quando avremo riflettuto su queste e altre questioni potremo anche chiedere più facilmente, come hanno fatto i relatori del «Laboratorio Sanità» alla Fiera di Bergamo, che la spesa sanitaria raggiunga il 7,5% del Pil dagli scarsi valori attuali. Sempre cercando di dire, tuttavia, anche solo per un fatto di metodo, da chi si prende il punto di Pil che manca. La percentuale è infatti un numero diviso cento per tutti e se si aumenta il peso di una parte si riduce quello delle altre. Ma anche questo è sforzo di natura umana.

Che dire quindi? Che la persona è sempre al centro, come individuo e come organizzazione, come insieme coordinato di individui. Un compito non da poco ma anche un modo per valorizzare la bella riflessione della scorsa settimana: non un dire per dire ma un dire per fare.

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