Intervenire con urgenza
evitando dissonanze

L’onda della pandemia cresce in misura preoccupante giorno dopo giorno: l’impennata di contagi azzanna alle caviglie il personale sanitario, rischia di mettere in ginocchio l’economia, prefigura nuove (pesanti, ma necessarie) restrizioni a tutta la popolazione. Di fronte a questa valanga, la politica e le istituzioni sembrano confuse, incerte, incapaci di compiere scelte appropriate. Sono palesemente in affanno, costrette ad inseguire, piuttosto che a indirizzare e gestire l’evolversi della situazione. L’esatto contrario di ciò che serve. In questo sfrangiato contesto due appelli tracciano la strada: il Presidente della Repubblica richiama ancora una volta tutte le istituzioni a operare in solidale sintonia, evitando sterili contrapposizioni.

Dal canto loro cento scienziati, capitanati dal presidente dell’Accademia dei Lincei, invitano il governo a prendere misure più efficaci per evitare il dilagare del virus. Entrambi i moniti presuppongono uno scenario nel quale i decisori politici riescano a far convivere (se non proprio a coincidere) la capacità di distinguere e quella di unificare. Il che, concretamente, implica che si riesca a porre fine alla perdurante dissonanza tra le scelte del governo e quelle delle autorità politiche territoriali. Due casi emblematici danno il senso del problema.

La polemica sulla scuola tra il ministro Azzolina e il presidente della Lombardia, Fontana, mostra quanto entrambi accampino soltanto le loro rispettive ragioni, senza porre l’accento sul fatto che il problema a monte è dato dalle carenze del trasporto locale che favoriscono il diffondersi del contagio. All’opposto, la decisione di affidare ai Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza il compito di vagliare come affrontare gli assembramenti nelle zone maggiormente frequentate dai giovani si rivela una saggia soluzione, perché vede coinvolti tutti i livelli istituzionali.

Siamo alla svolta di una battaglia che può essere vinta soltanto con decisioni coraggiose e tempestive. Il governo Conte ha affrontato in modo egregio la fase critica della scorsa primavera. Le misure prese in quei mesi sono state esemplari (al netto di immancabili errori) al punto da consegnare al nostro Paese vasti riconoscimenti internazionali, anche in virtù della collaborazione dei cittadini. Nei mesi successivi molto di quel patrimonio di prudenza e rispetto delle regole è stato dilapidato. In primo luogo per l’incosciente leggerezza di una minoranza (non numerosa ma dannosissima).

Tanto il governo nazionale quanto quelli locali hanno sottovalutato i pericoli derivati dal «liberi tutti» emerso sulle spiagge e nelle discoteche; nel contempo non hanno provveduto a organizzare adeguatamente il momento della ripresa autunnale con la riapertura delle scuole e la conseguente esigenza di potenziare i trasporti locali in condizioni di sicurezza. L’ipotesi di ricorrere ad automezzi di società private - se fosse stata programmata per tempo – avrebbe allentato la pressione degli utenti ed avrebbe anche contribuito a dare ossigeno ad un settore economico in difficoltà. L’insufficienza di misure preventive, accomunata all’allentamento dei controlli e alla progressiva tendenza a non rispettare le regole di protezione individuale, ha messo il Paese davanti a una scelta quasi obbligata: adottare severe misure di restrizione. Ciò dovrà essere fatto distinguendo, secondo le condizioni locali, e nel contempo unificando i criteri di scelta delle soluzioni da adottare.

Presidenti di regione e sindaci dovranno lavorare di concerto con lo Stato e le sue diramazioni territoriali, evitando di agire come vertici di repubbliche indipendenti. Al governo spetterà il compito arduo di fare scelte oculate in grado di garantire la sicurezza di tutti.

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