Italia fragile e ferma
ad aspettare
che spiova

Come ogni novembre, da almeno vent’anni il maltempo sferza l’Italia. Il nostro fragile territorio non sopporta l’aumento delle piogge (secondo Italia nostra una casa su due è abusiva) e reagisce di conseguenza: esondazioni, frane, smottamenti, rottura degli argini, alluvioni. Basta andare indietro nella memoria ed ecco affiorare tanti drammi e tragedie: l’esondazione del Bisagno, a Genova, quella del torrente Milicia, nel 2018, che portò a nove morti, le frane e le valanghe sulle Dolomiti, proprio come in questi giorni, l’alluvione di Livorno che fece otto vittime, quella di Treviso e della Locride nel 2015, ancora Genova e mezza Liguria nel 2014, fino al Tanaro nel 1994, solo per citare le più importanti.

Poi ci sono Firenze e Venezia, che hanno assunto addirittura il ruolo storico di simbolo dell’Italia fragile, tanto bella quanto a rischio inondazione. La Laguna è quello che è, una meraviglia indifesa, sommersa sotto gli occhi del mondo. Ieri l’Arno superava i livelli di guardia, fino a lambire la parte superiore degli argini e quasi aggrediva Ponte Vecchio e le strade del centro storico circostanti. Il fantasma della storica inondazione del novembre 1966 (novembre è il mese delle alluvioni) è sempre incombente. Famiglie evacuate (come a Barberino del Mugello), decine di migliaia di persone senza luce e gas, scuole chiuse, strade deviate, treni soppressi, protezione civile al lavoro, allerta in mezzo Paese, persino nevicate con rischio di valanghe e slavine in Trentino. Piene «storiche» registrate un po’ dappertutto, mareggiate devastanti, tempeste, bombe d’acqua capaci di riversare sulla stessa zona una quantità impressionante di pioggia per via dei cambiamenti climatici.

Anche le grandi metropoli non vengono risparmiate. Ieri a Roma ci sono stati 200 interventi dei vigili del fuoco per il temporale che si è abbattuto sulle strade della Capitale sradicando alberi e allagando strade e palazzi. Davanti a questi disastri annunciati si ha come l’impressione che il nostro Paese si trovi indifeso, certo pronto a ricostruire e a riprendersi, ma impotente di fronte alla furia degli elementi. I vigili del fuoco e la protezione civile, come sempre, fanno miracoli. I volontari non sono da meno. A Venezia sono in azione «gli angeli dell’acqua alta», così chiamati perché evocano i celebri e storici «Angeli del fango» in azione a Firenze dopo la disastrosa alluvione del 1966 citata. Sono i ragazzi di «Venice calls», un’associazione di giovani, nata nel 2018, che in questi giorni in cui la città è stata messa in ginocchio dalle ondate di marea si sono attivati per aiutare i residenti in difficoltà intervenendo in più luoghi del centro storico.

Ma di fronte a tutto questo il nostro Paese sembra subire i fenomeni, senza poter far nulla. L’Italia è fragile dentro e fuori. Ad ogni tragedia si parla di mettere in sicurezza il territorio, con notevoli costi ma anche opportunità per la ripresa economica, attraverso investimenti in infrastrutture e opere di ammodernamento. Ma poi non se ne fa più nulla, lentamente si torna alla vita di prima, sperando che il dramma che ha attraversato i propri luoghi non si faccia più rivedere. Progettare opere a lungo termine non è utile per il consenso elettorale. Bisogna avere una «visione», che in Italia è merce rara. I nostri governi, le nostre amministrazioni, appaiono paralizzate, come – il paragone non sia giudicato a sproposito – appare paralizzato l’esecutivo attuale, al netto delle dichiarazioni di circostanza, di fronte al combinato disposto della crisi ambientale e occupazionale di Taranto. Non si fa nulla, non si agisce. Ci si limita a qualche passarella di politici, come abbiamo visto in questi giorni a Venezia. Poi si aspetta il ritorno del bel tempo. Perché prima o poi ha sempre smesso di piovere. Dimenticando che, prima o poi, ha sempre ricominciato.

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