La bambina con 3 madri
se tutto è normale

Chissà a chi dirà per la prima volta la parola «mamma», la piccola Uma Louise? Lei è nata il 25 marzo scorso al Nebraska medical center di Omaha. Ed è stata partorita da colei che in realtà è sua nonna, Cecile Eledge, una donna di 61 anni. Cecile ha infatti messo a disposizione il suo utero per portare a compimento la gravidanza di un embrione concepito in vitro. Infatti il figlio di nonna (o mamma) Cecile si chiama Matthew, è omossessuale e ha un compagno che si chiama Elliot Dougherty.

In Nebraska, lo stato dove vivono, l’unione tra omosessuali è legittima, ma non è permesso alle coppie dello stesso sesso adottare un bambino. Matthew ed Elliot però volevano fortemente un figlio. Quando Cecile ha detto di essere disponibile a collaborare perché il sogno del figlio diventasse realtà, tutti hanno pensato ad una battuta scherzosa. Invece Cecile diceva sul serio: così il seme di Matthew ha fecondato in vitro l’ovulo di Lea, la sorella del suo compagno. Poi nonna Cecile ha messo il suo utero a disposizione. Ed ecco che è nata Uma Louise, la bambina che ha tre mamme: sua nonna, sua zia Lea, e infine quel genitore «secondo» che ha un nome maschile, Elliot. Chissà se penserà per questo di essere più fortunata di altri...

Come i lettori hanno potuto capire dalla ricostruzione di questi incroci, siamo oltre le frontiere di quello che ognuno può anche solo immaginare. L’asticella dell’arbitrarietà nei confronti della vita si è ulteriormente alzata e noi assistiamo un po’ sgomenti e un po’ spaventati a questa escalation. È istintivo dissociarsi dal punto di vista morale davanti a pratiche come queste, e non c’è bisogno di essere credenti per condannare. Basta avere un minimo senso della realtà. Eppure attorno a questa situazione che sembra appartenere più alla fantascienza che al quotidiano registriamo un clima strano. Basta mettere attenzione alle parole usate dai diretti protagonisti. Sono tutte parole cariche di positività. La nonna-mamma dice di aver fatto questo per amore del figlio. «È un dono di una madre al figlio», sono le sue precise parole. Lei stessa racconta di aver ricevuto messaggi affettuosi da tutto il mondo. Matthew in questo momento pensa e dice di aver avuto la miglior madre del mondo. Quanto al suo compagno Elliot può dire la stessa cosa rispetto a sua sorella.

Certo, su alcuni giornali americani si è scatenata la polemica da parte di tanti che ritengono l’intera vicenda un’aberrazione, una deriva camuffata da traguardo della modernità e da conquista di civiltà. In effetti quando l’uomo perde il senso dei propri limiti, in genere si aprono scenari inquietanti. Se «tutto» è possibile, quel «tutto» può prendere anche forme disumane. Oggi però ci troviamo davanti ad una situazione strana: quello che ci appare come arbitrario, come frutto di una pretesa di possesso e di controllo sulla vita, è invece narrato come espressione di un amore. In quella casa di Omaha, Nebraska, ci dicono che oggi c’è grande felicità e il clima è di un affetto diffuso e condiviso tra tutti. Non c’è neanche uno spirito di rivalsa rispetto alle logiche che sin qui hanno impedito che nascite come queste potessero accadere. Semplicemente tutto è vissuto come se fosse scontato e naturale, e anche le foto fatte circolare fanno trapelare questo stesso senso di «normalità».

È questa la novità che il caso di Omaha porta in scena e con la quale ci dobbiamo misurare: il nostro sconcerto, il nostro senso morale si scontrano con questa «normalizzazione», con la pacifica accettazione di una scelta che sarebbe stata dettata da «un amore». Per questo la vera sfida è proprio attorno questa parola: amore. Non c’è amore se un figlio diventa una pretesa; non ci può essere ultimamente amore se la vita non è dono ma controllo e calcolo. Un calcolo che poi genera il suo opposto: la confusione. A chi dirà «mamma» la piccola Uma Louise?

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