La bellezza, vera materia prima dell’Italia

L’Italia è un Paese quasi totalmente privo di materie prime naturali. Ma c’è una materia prima di cui abbonda e non ha rivali in tutto il mondo: l’arte. Che significa storia, intelligenza, genio, amore per le cose belle. Dicono che sia la sua posizione centrale nel Mediterraneo, il «grande lago» di cui Braudel e la scuola delle Annales ha narrato le conquiste e le meraviglie, crocevia di navigazioni e di incontri incomparabili prima che diventasse un cimitero a cielo aperto.

Dicono che sia la stratificazione di civiltà immense. Fatto sta che la storiaè connaturata con il nostro Paese. Siamo stati superpotenza in due epoche: ai tempi di Augusto, Tiberio, Adriano e nel Rinascimento di Lorenzo il Magnifico. Il cristianesimo che ha cancellato il paganesimo non avrebbe potuto diffondersi senza la placenta dell’impero romano e il commercio mondiale fatto di vele e cannoni, per citare Carlo Maria Cipolla, non avrebbe potuto prosperare senza Venezia. Estraiamo, produciamo e vendiamo bellezza, altro che gas.

Ieri abbiamo estratto altra materia prima. Protetto per 2300 anni dal fango e dall’acqua bollente delle vasche sacre, è riemerso dagli scavi di San Casciano dei Bagni, in Toscana, un deposito votivo di 24 statue in bronzo, cinque delle quali alte quasi un metro, tutte integre. Un tesoro unico che si accompagna a una incredibile quantità di iscrizioni in etrusco e in latino e al quale si aggiungono migliaia di monete (rinvenimento importantissimo per la storia dell’economia di quell’epoca) oltre a una serie di offerte votive.

Il giovane efebo ritrovato adagiato sul fondo della grande vasca romana, la dea della salute Igea moglie del medico Asclepio, Apollo e altre divinità pagane del mondo etrusco, civiltà ancora per molti aspetti misteriosa a cui si ispirò spesso la religione romana. E poi divinità, matrone, fanciulli, imperatori. Ne sentiremo parlare spesso, di questo concentrato di bellezza, diverranno opere familiari, come i Bronzi di Riace o il Satiro danzante di Mazara del Vallo. O come Pompei.

Una scoperta che ha visto all’opera specialisti di ogni disciplina, dagli storici dell’arte agli architetti, dai geologi ai numismatici, dagli archeobotanici agli esperti di epigrafia.

Ora si tratta di valorizzare questo tesoro risalente a un periodo che oscilla tra il primo secolo avanti Cristo e il secondo dopo Cristo senza uguali. Dunque siamo in piena epoca romana quando la civiltà etrusca era già stata assimilata da Roma repubblicana e poi imperiale. Pare sia stato già approvato l’acquisto del palazzo cinquecentesco che ospiterà nel piccolo e suggestivo borgo di San Casciano (l’Italia dei borghi è un altro capolavoro senza eguali) le meraviglie restituite del Bagno Grande, insieme a un enorme parco archeologico. Così come il Museo di Reggio Calabria che ospita i Bronzi ha finito per diventare uno dei punti di riferimento della civiltà della Magna Grecia.

San Casciano, perla della Maremma, diverrà uno dei luoghi più visitati, fonte di turismo e lavoro. Dovremmo fare tesoro di queste scoperte ed estenderle ai siti ancora semisconosciuti o addirittura mai aperti del nostro Paese. I magazzini del Museo di Napoli abbondano di opere d’arte in certi casi nemmeno classificate. Roma pullula di scavi mai finiti. E la Sicilia, l’Isola di Segesta e Selinunte, possiede templi e opere ancora celate dall’oblio.

La scoperta di San Casciano dovrebbe indurci a valorizzare meglio questi tesori, a creare infrastrutture e reti di trasporti capaci di attrarre milioni e milioni di turisti. Ma finché, nel 2022, per andare da Catania a Palermo ci vorranno, come avviene oggi, tre ore e mezzo, la materia prima della bellezza rimarrà nascosta alla maggior parte degli italiani e degli abitanti del Pianeta Terra.

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