La croce unisce, come la montagna

ITALIA. «Anacronistiche» e «divisive». Due termini più offensivi non potevano essere individuati per definire la presenza delle croci sulle vette delle nostre montagne.

Ancora una volta la Croce viene osservata con uno sguardo ideologico anziché profondamente umano. L’ultimo dibattito, che ha poi sollevato un prevedibile polverone mediatico, si è tenuto all’Università Cattolica di Milano durante la presentazione del volume «Croci di vetta in Appennino» della storica dell’arte Ines Millesimi al quale ha partecipato il direttore editoriale del Cai, Marco Albino Ferrari.In quella sede sono emerse posizioni diversificate, ma la sintesi dell’esponente del Cai è: va bene, curiamo e manteniamo le croci esistenti, ma stop alle nuove installazioni perché la modernità è caratterizzata da un dialogo interculturale. Ergo, le croci non ci rappresentano più. O quanto meno, non rappresentano più tutti. Ieri il presidente nazionale del Cai, Antonio Montani, è corso a metterci una toppa definendo «dichiarazioni personali» quelle di Ferrari. Peccato che il giorno dopo il convegno, il portale di comunicazione del Cai «Lo Scarpone», con un articolo a firma di Pietro Lacasella, ribadisse proprio la posizione di Ferrari sia per una questione interculturale «che va ampliandosi» sia per «nuove esigenze paesaggistico-ambientali».

In altre parole, la Croce disturba. E poiché disturba la cancelliamo, lasciando solo quelle del passato come ricordo. Non solo, il 13 giugno, per annunciare il convegno lo stesso Lacasella scriveva sullo «Scarpone»: «Ma la società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha ancora senso innalzarne di nuove? Probabilmente la risposta è no. Innanzitutto perché l’Italia si sta rapidamente convertendo in uno Stato a trazione laica, territori montani compresi». Davvero curiosa come presa di posizione: poiché un simbolo è - a suo dire, ma bisognerebbe capire come la pensano veramente i soci Cai sul territorio -poco rappresentativo, allora oscuriamolo. Seguendo tale ragionamento, senza addentrarci in riflessioni di fede, emerge immediatamente una contraddizione: non è questa la società delle battaglie per le minoranze? Non è forse questa la società che va in piazza per ergere a simbolo chi è poco rappresentato? Allora perché per la croce non vale lo stesso ragionamento?

I cristiani, secondo gli alpinisti Cai dello «Scarpone», sono un capitolo di storia da studiare, ogni tanto da spolverare e lucidare attraverso le croci già presenti sulle vette, ma nulla più. Ancora una volta la Croce, simbolo per eccellenza di unione e di fratellanza come lo è il messaggio evangelico, viene «messa in croce» da un atteggiamento politically correct che tende ad annacquare tutto, a voler cambiare tutto. È vero che la Croce evoca valori che oggi si fatica a mettere in pratica e che non piacciono a tutti, ma questo non ne giustifica l’eliminazione, questo sì che è un pretesto divisivo.

Nemmeno può essere solo sbandierata come un simbolo identitario e culturale tipico di certa politica. La Croce non è una bandiera, non viene issata su un territorio da occupare. E francamente non vedo tutta questa corsa a puntellare di croci le cime libere. La Croce è di tutti, indipendentemente dalla propria fede. È soprattutto dell’uomo, in quanto espressione di una profondità che va oltre ogni comprensione. È proprio l’esclusione dalla storia che la rende paradossalmente più forte e inserita nella storia degli uomini. Senza azzardare riflessioni teologiche, basterebbe leggere le numerose imprese di bergamaschi che hanno faticato per costruire e trasportare pesantissime croci sulle vette delle Orobie per coglierne il significato più profondo. Un significato che non si esaurisce oggi perché il mondo è più interculturale, al contrario è il suo valore che la rende plurale, riconosciuta e rispettata. La Croce, proprio come la montagna, da sempre unisce. E in vetta questa esperienza spirituale diventa profondamente umana. Non lasciamo che la «cancel culture» spazzi via anche queste emozioni che in cima a una montagna consentono all’uomo di assaporare lo straordinario.

© RIPRODUZIONE RISERVATA