La perfezione
dell’Atalanta

Poteva finire venticinque a zero, dicono tutti i reduci del Comunale. E quasi faticano a trovare il verbo adatto per descrivere quel che l’Atalanta ha fatto all’Inter. Asfaltata, distrutta, dominata. Sembra sempre troppo poco. Forse la definizione più giusta l’ha data un commentatore tv nel dopopartita, facendo un complimento meritatissimo a Giampiero Gasperini: «Se esiste il calcio perfetto, il vostro di oggi gli somigliava molto». Altro è difficile aggiungere, quando si parla di perfezione del calcio. Però cose da aggiungere ce ne sono, eccome. Anzitutto, la classifica. L’Atalanta, che solo una manciata di giornate fa sembrava il fantasma di se stessa, e stava a due passi dal fondo, ora è tornata se stessa. Con quella «fame», quella cattiveria agonistica, quella convinzione di giocarsela e di potercela fare contro chiunque che è la caratteristica principale della squadra da sempre, ma ancor più da quando in panchina c’è Gasperini. Con tutto questo, è a un passo dalla zona che vale l’Europa.

Ed è tornata perché finalmente è riuscita a mettersi dietro le spalle lo choc dell’eliminazione di Copenaghen. I protagonisti negheranno in eterno, ma è fuori discussione, anche perché semplicemente è umano, che quella sconfitta, inattesa quanto «cattiva» per l’andamento delle partite, sia stata più indigeribile di una cassoeula a ferragosto, con 40 gradi all’ombra e il 95 per cento di umidità. I giocatori sono forti, per alcuni sono quasi eroi. Ma sono uomini. Il calcio è un gioco, ma per loro è un lavoro. E quella sconfitta è stata come un camion che ti passa sopra a duecento all’ora: rialzarsi da una delusione così forte non è facile per nessuno, specie se quella delusione scrive l’ultima pagina, in anticipo sulle previsioni di tutti, di un romanzo bellissimo, di un sogno cullato, costruito, realizzato, vissuto e condiviso con un popolo.

Centottanta minuti e tutto era sbriciolato: ovvio che servisse tempo per curare la ferita, metterla da parte nelle teste, trovare la forza di ricominciare tutto da capo. L’Atalanta ci è riuscita. Passo dopo passo, recuperando prima fiducia, poi certezze. E adesso, ritrovando anche lo spirito delle grandi imprese. Riguardate il primo gol di ieri, e rivedrete Spinazzola sulla sinistra e Conti che fa gol da destra. Gosens e Hateboer erano due riserve, non sembravano all’altezza dei loro predecessori, eppure hanno portato a successo quello schema che fu determinante nel quarto posto di due anni fa. E poi Mancini, che quando fu preso da semisconosciuto un esperto di calcio ci disse: «Diventerà uno dei più forti difensori italiani». La strada è quella buona. E poi Djmsiti, che pareva l’acquisto sfortunato della coppia di gennaio 2016. L’altro era Freuler, ora sta arrivando anche lui. E alla fine di tutto riecco quell’Atalanta, che chi metti metti, ma lei sembra sempre la stessa squadra, lo stesso meccanismo che ieri ha avvicinato il concetto di calcio perfetto.

Resterebbe da dire solo della «grana» del portiere, che tra alti e bassi non sembra poter avere una soluzione finale. Ma non è il giorno dei problemi, è il giorno di una città che festeggia, dei messaggi agli amici interisti, dei mille Otelma che ora si lanciano nelle previsioni su tutte le tonalità del rosa. Dove arriverà, l’Atalanta, nessuno può dirlo. Perché ci sono le altre, perché questo inizio di stagione dimostra che la testa è (quasi) tutto, e che il prodigio è delicato assai. Ma ci divertiremo, con una squadra che ha deciso che dopo il primo sogno, va scritto anche il secondo. Che si realizzi, chi lo sa. Ma viverlo è già una vittoria.

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