La povertà da virus
e gli aiuti sbagliati

Potrebbe essere spietato al tempo di un’emergenza che non passa. Eppure il Rapporto di Caritas italiana sulla povertà al tempo di Covid-19 propone con chiarezza l’analisi degli errori da evitare. I numeri raccontano di un dolore con la recessione dietro l’angolo e 4,5 milioni di poveri assoluti, cioè privi di beni essenziali dal cibo all’istruzione, destinati ad aumentare. Accade in Italia e nel mondo dove raddoppia il numero di chi sopravvive con meno di due dollari al giorno, soglia della morte per fame. Occorre agire meglio e con risposte pubbliche meno frammentate. È vero, concede Caritas italiana, che c’è stato un vasto spiegamento di risorse e di strumenti per fronteggiare l’impennata della crisi provocata dalla pandemia, ma l’impressione è che la macchina si sia inceppata e abbia lavorato con fatica.

Lo traduce con una parola «intempestività delle misure» che diventa un atto d’accusa non da poco per tutta l’amministrazione pubblica italiana. «Intempestivo», poiché in stridente contrasto con le condizioni e le esigenze del momento. La frase sta a pagina 67 del Rapporto pubblicato ieri: «Il Governo spinto dalla necessità di non lasciare scoperto nessuno dei colpiti dai contraccolpi economici della pandemia, ha frazionato in maniera infinitesimale gli interventi». Così l’efficacia è spartita. E aggiunge: «Partiti con l’intento di offrire a ciascuno una risposta, si è finito per polverizzare le misure al punto da ingenerare confusione e disorientamento».

Si poteva fare meglio? Forse. Sicuramente si può rimediare. Il Rapporto non teme l’impopolarità quando denuncia una eccessiva concentrazione sull’emergenza sanitaria, giustificata nelle prime settimane, ma senza progetto su un periodo più lungo, come si è visto in questi ultimi giorni. Forse se avessimo preso subito i soldi del Mes, con task-force dedicata a ri-disegnare sistema ospedaliero e «sanità di prossimità» sul territorio, oggi saremmo meno in affanno. La fila delle lungaggini burocratiche e delle difficoltà amministrative nell’analisi della Caritas è lunga. Sotto accusa va soprattutto un acronimo che risponde al nome di Isee, quel numeretto che misura la tua situazione economica e che non tutti hanno in tasca. Se non lo hai non puoi accedere a nulla e per richiederlo in tempo di pandemia diventa impresa sovrumana. I salti mortali sull’Isee hanno fatto fallire una delle misure più urgenti, il Reddito di emergenza, domande entro il 30 giugno che solo le pressioni di Caritas italiana sul governo sono riuscite a procrastinare al 15 settembre, ma probabilmente senza risultato.

Poi la Cassa integrazione in deroga che arriva a fatica, colf e badanti prima escluse e poi ripescate in silenzio, campagne di informazioni inadeguate, disastro nel coordinamento locale della gestione delle misure, interventi spot e di breve durata per le partite Iva, idea che la digitalizzazione di ogni servizio fosse una bacchetta magica, scarsa flessibilità per affrontare bisogni dei territori, didattica a distanza fallita in molte aree. Al Sud il 20% delle famiglie non possiede un computer. Possibile che nessuno si sia posto il problema?

Certamente il governo ha dovuto affrontare una lotta impari contro il tempo, ma la mancata flessibilità come metodo per affrontare problemi uguali in territori diversi, da un lato ha sancito ritardi rendendo le misure inadeguate, dall’altro ha favorito (e non solo al Sud) la presenza di quello che il Rapporto definisce il «welfare mafioso di prossimità», alternativo alle lentezze e incertezze dello Stato. Una lettera approfondita del Rapporto Caritas farebbe bene a tutti dal sindaco al presidente del Consiglio.

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