La pubblicità della pesca, le emozioni e il consumo

IL COMMENTO. Da Adamo in poi, l’umanità ha sempre avuto qualche problema con la frutta, mela o pesca dell’Esselunga che sia. Sarà perché i due frutti, quello biblico e quello della pubblicità del noto brand di supermercati, fanno vedere ciò che di solito resta invisibile, cioè la traccia del desiderio: Adamo desiderava di essere qualcosa di più, la bambina desidera che il suo mondo stia insieme. E fa sempre male guardare in faccia i desideri degli altri, soprattutto quelli che ci coinvolgono, ci emozionano e ci riguardano.

Perché ci fanno pensare che a volte abbiamo tutti un po’ deluso i desideri veri degli altri. Ma allora, perché tanta polemica attorno a uno spot narrativamente bellissimo, che mette in scena uno spaccato della vita di tanti? È forse perché increspa il velo di perbenismo che la nostra società stende anche sulla vita famigliare per potersi raccontare che va tutto bene? È forse perché la famiglia del Mulino Bianco scopre per la prima volta di essere a sua volta una pubblicità, una favola di felicità impossibile? È per la questione degli stereotipi che secondo alcuni, come l’argenteria accuratamente riposta nei cassetti più remoti, all’improvviso riconquista la ribalta scintillante della scena ufficiale, strizzando l’occhio agli interessi di ideologie politiche e non? No. Decisamente no. È pericoloso confondere i piani.

Cinematograficamente è un bel cortometraggio. Narrativamente è intenso e realista. Racconta la vita domestica di tanti bambini, mamme e papà di oggi. È emotivamente toccante perché i bambini ci commuovono sempre quando il loro dolore innocente tira la giacca alla nostra responsabilità di adulti. Ma come per la pesca, il nocciolo sta ben al di sotto della buccia. E chiede pazienza. La questione vera è che si tratta di uno spot commerciale. Di una pubblicità. Come quella per i farmaci contro il meteorismo intestinale che vanno in onda immancabilmente mentre stai pranzando, o quelle per l’amaro che allieta il dopocena: mi raccomando, bere responsabilmente. E da sempre le pubblicità prendono in mano la materia dei nostri desideri, così personali e così profondi, e ne fanno un po’ quello che vogliono. Lo fanno gentilmente e con garbo, facendoci emozionare, così ci viene anche da dire grazie e da pensare che ci stanno facendo un favore, ci stanno aiutando a pensare.

Si può usare il dolore adulto di una bambina per dirci che non c’è spesa che non sia importante? Per far riflettere sulle famiglie di oggi? Forse. Ma forse si può anche riconoscere che una società non può pensare per emozioni, per like sui social e per consensi del pubblico. Come nella corsia in cui si acquista la pesca, saremmo davvero alla frutta. E non sono cattivi gli agenti pubblicitari - che fa comodo immaginare come burattinai senza cuore che muovono i fili invisibili del nostro desiderio - ma è la nostra società che è assuefatta. Abituata. Gliel’abbiamo concesso, ci è piaciuto e abbiamo pure detto grazie. Perché abbiamo avuto bisogno di qualcosa che ci emozionasse, per sentirci più vivi. Di immagini belle e strazianti. Migliaia di migranti che muoiono nella traversata non valgono quanto la foto di uno di loro, meglio se bambino, riverso sulla spiaggia. I primi ci disgustano, il secondo ci indigna e ci smuove. Migliaia di bambini, già prima dello spot, vivevano insieme alla loro famiglia la fatica della separazione, ma non ci interessava più di tanto l’ingiustizia che, come società, avessimo caricato sulle spalle dei piccoli l’aspettativa di tenere insieme i pezzi che noi non riuscivamo più a garantire. Su questo, senza giudizio per nessuno, avremmo bisogno di trovarci a discutere insieme, seriamente, riflettendoci come comunità umana e sociale. Prendersi cura dei desideri veri dei piccoli ha a che fare con il tema dell’affidabilità e della bellezza del futuro, che sembra essersi inceppato nella ricerca e nelle speranze delle giovani generazioni. Altrimenti ci commuoviamo fintanto che qualcuno non ci porgerà la prossima pesca.

È questo che dà da pensare: il fatto che nella nostra società le riflessioni sui grandi temi nascano dai punti fragola. Che sia il consumo a dettare l’agenda delle nostre emozioni e delle nostre priorità. Uno spot per vendere è uno spot per vendere, uno a zero e palla al centro se è fatto bene e funziona. Ma veramente nella nostra società si può vendere tutto, anche ciò che appartiene al pensiero e al cuore che ci rende umani? Alcune pesche si potranno anche vendere, ma rimangono acerbe.

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