La sinistra e il lavoro: il coraggio di cambiare

POLITICA. È certamente ancora il lavoro, inteso come opportunità di vita e di crescita personale, di coppia e familiare, il tema centrale della nostra epoca, ma è sicuramente cambiato il senso fondativo che aveva al momento di scrivere l’articolo 1 della nostra Costituzione.

Settantacinque anni dopo, il significato stesso della parola è profondamente diverso, a seguito della terza rivoluzione industriale, quella della tecnologia digitale. La sinistra politica può legittimamente riproporre il lavoro come punto di riferimento, ma sarebbe sterile aggrapparsi ad uno scudo solo identitario, senza valutare la misura e la profondità di questo cambiamento. Né può diventare una ridotta solo per denunciare la precarietà, l’emarginazione, lo sfruttamento. Giusto e doveroso, ma questo non costituisce o sostituisce una linea politica.

La questione è molto più ampia e complessa. Chiamalo se vuoi riformismo e, se (chissà perché) non vuoi, rifletti su ciò che rimane di una vocazione maggioritaria che diventa fatalmente inattuabile, perché non è risolutivo spostarsi semplicemente più a sinistra, rischiando anche di perdere pezzi, ad esempio cattolici, della tua storia culturale. E peggio va se questo porta a risuscitare simboli come l’art. 18, che aveva un senso mezzo secolo fa, nel 1970, prescindendo dai successivi progressi, fino al Jobs act. Non sarebbe comunque il frutto di una riflessione, che deve invece partire dal superamento di quasi tutti i parametri tradizionali del lavoro oggi. Bisogna allora avere il coraggio di una analisi controcorrente, non puramente consolatoria ma pragmatica. In fabbrica, oggi, i camici bianchi sono ormai più numerosi delle tute blu, e i pc, per non dire l’intelligenza artificiale, hanno sostituito da tempo la chiave a stella di Primo Levi.

A questo coraggioso esercizio si è dedicato un intellettuale di sinistra di lungo corso e militanza anche politica, Aldo Schiavone, che ha scritto un prezioso libricino intitolato «Sinistra!», che già in copertina afferma che al pensiero progressista serve una rottura radicale (curiosamente proprio «Radicalità» è il titolo del contemporaneo libro di Carlo De Benedetti, ex tessera numero 1 del Pd). La tesi di Schiavone è molto diretta ed entra come una lama nel burro di tante discussioni sempre troppo tattiche dei vari partiti della sinistra italiana, proclamando ruvidamente la storica vittoria del capitalismo e la sconfitta finale del socialismo.

Questa cruda realtà è dovuta al ritardo con cui a sinistra si è preso atto di due eventi che hanno cambiato la storia, come osserva Antonio Polito nella sua recensione: la rivoluzione tecnologica e la fine del comunismo. L’uno e l’altro hanno chiuso l’era della lotta di classe, che non può essere rimpiazzata dalla diversità non componibile dei moderni settori in crisi, dai raiders agli immigrati, o genericamente dal lavoro povero, né tantomeno è sostituibile con il genere, in nome del femminismo. Aldo Schiavone dice ancora di più: chiede di abbandonare «ogni idea di socialismo» (lo considererebbe addirittura un «ultimo gesto autenticamente marxista; un’applicazione rigorosa e conclusiva di quel pensiero geniale») esortando a capire che «in termini strettamente economici e sociali, il capitale ha vinto la sua battaglia… e bisogna prendere atto con realismo di questo dato e saper chiamare le cose con il loro nome, senza addolcimenti».

Naturalmente non deve essere una resa, o il riconoscimento dell’«ineluttabilità della disciplina tecnocapitalistica del mondo». Anzi, scatta da qui un ruolo fondamentale di una sinistra moderna, ricorrendo a quello che Schiavone definisce un nuovo «universalismo democratico», vera alternativa alla ristretta visione delle «nazioni» meloniane. E soprattutto avendo come obiettivo il grande problema che la globalizzazione ha aggravato, quello delle diseguaglianze, perché la rivoluzione ha fatto crescere gli ultimissimi del mondo, arricchito i ricchi e reso precaria la vita di una parte del ceto medio.

Materia abbondante di riflessione e azione per una sinistra forse non più «laburista» (slogan delle primarie di Bonaccini), ma – come nel libro di Schiavone – davvero con il punto esclamativo.

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