La stagione dei diritti
E quella dei sacrifici

«Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere». Le parole di Aldo Moro pronunciate ai gruppi parlamentari della Dc il 28 febbraio 1978, poco prima di essere rapito dalla Brigate Rosse, irrompono al tempo del virus e dell’Italia «zona rossa» in uno scenario dove l’ombra dell’irresponsabilità personale e sociale fatica a dissiparsi davanti ad un nemico ancora per troppi invisibile.

Chi davanti alle regole e purtroppo anche ai divieti, chi davanti all’invito a stare in casa e ai sacrifici, guarda a ciò che perdiamo e non al numero di coloro che così salviamo, attesta la diffusione di una degenerazione drammatica dell’etica della responsabilità. Le file sulle piste di sci, i pub e i locali presi d’assalto perché il rito dell’happy hour non va mai in pausa, il lungomare stracolmo, i centri commerciali affollati dimostrano che un pezzo d’Italia fa finta di essere una star, come canta Luciano Ligabue. Nessun passo indietro, nessuna rinuncia per il bene comune, nessuno sforzo per contribuire a riparare tempi incerti. I vescovi italiani hanno definito questi giorni «un tempo di enorme responsabilità». E hanno colto il punto. Ma la responsabilità che sente la Chiesa, pur nel rammarico per i sacerdoti e i fedeli di non poter fisicamente partecipare all’Eucarestia per la tutela della salute pubblica, dovrebbe dominare l’animo, i pensieri e volti di tutti e diventare stimolo per una percezione più profonda e per una riflessione più complessa del nostro essere cittadini e comunità.

La stagione dei diritti oggi non è sospesa dai provvedimenti del governo, quelli presi e quelli che verranno. Eppure gli attuali accadimenti permettono di comprendere meglio l’intreccio virtuoso tra diritti e doveri. La corsa ai diritti che si è vista nei giorni scorsi, la rivendicazione di alcuni di una sorta di immunità ai richiami alla pazienza, all’ascolto e in fin dei conti alla responsabilità, manifesta una sofferenza della ragione. Si coglie qui e là una fastidiosa sensazione di intontimento del pensiero e della saggezza, ammaliati solo dalle abitudini, incantati del proprio personale benessere, ma in fondo insoddisfatti, assetati intemperanti come quando si trangugiano bicchieroni di una bevanda che inganna la sete, provocandone di più. Non possiamo fermarci per un momento? Si può imparare anche dal disorientamento. È l’occasione per riflettere sui doveri, che insieme ai diritti danno senso alla vita, sul significato del limite e sul rispetto.

Un Paese diventa una comunità quando tutti e non solo alcuni stimano e apprezzano i doveri verso gli altri e verso la comunità. Questa è la sintesi della democrazia e non affatto quella di una evanescenza dei doveri in favore di una corsa ai diritti. Mai si può fare tutto ciò che si vuole e si può fare, altrimenti il sistema si sgretola. Né si può comportarsi come se solo l’ordinamento dei diritti sia eccitante e seducente, mentre quello dei doveri sia modesto e molesto, quindi da mitigare. La simbologia mistica dell’eroismo classico applicata in questi giorni a medici e infermieri è la spia dell’abbassamento generale dell’asticella del credito dei doveri. Il loro è eroismo del quotidiano, nulla a che vedere con Achille o i supereroi del cinema, eroismo anonimo, che esalta il valore del sacrificio, il senso dell’abnegazione, mette l’interesse comune davanti all’interesse personale e sa rinunciare in nome del dovere a qualcosa di sé.

Una bella lezione per tutti al pari di quella di Moro sul nuovo senso del dovere. Entrambe saranno efficaci se daranno forma a speranze latenti, a pensieri troppe volte difficili da declinare, per cui si preferisce demolire o sopprimere vicinanza e prossimità in nome di una personale retorica dei diritti. Oggi l’Italia è chiamata a lottare, insieme, in uno scenario diverso da quegli anni di piombo che uccisero Aldo Moro, ma in un tempo altrettanto incerto. Così sue parole ci scuotono ancora: «Se fosse possibile dire saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità» (Aldo Moro, 28 febbraio 1978).

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