L’aborto solitario
Dramma da prevenire

Forse è stato fatto tutto troppo in fretta, come sempre quando si tratta di temi complessi e delicati, come lo è l’aborto e le questioni non solo morali, ma anche di politica economica che si trascina dietro. C’è sempre una forzatura, dettata da scontro ideologico. Era alla base della scelta della Regione Umbria neogovernata dalla destra qualche mese fa di ospedalizzare per tre giorni chi assumeva la pillola Ru486, il cosiddetto aborto farmacologico; ed è alla base delle nuove linee guida del ministro della Salute Roberto Speranza di spazzar via ogni remora e prevedere l’assunzione della pillola anche da soli a casa. Insomma il solito scontro tra guelfi e ghibellini, entrambi a tutela della salute della donna. Va detto subito che l’assunzione della Ru486 non è come prendere un’aspirina. Si tratta di due farmaci, uno abortivo e l’altro espulsivo. Rendono l’aborto più pulito, come sostengono alcuni? Niente affatto: rendono l’aborto per quello che comunque è, cioè un dramma. Solo che il dramma diventa privato e la scelta di abortire solitaria. L’aborto scivola su un piano ancora più inclinato e sparisce dalle preoccupazioni collettive.

Non si tratta solo di una discussione scientifica e non è un argomento il fatto che ormai le complicazioni sono pressoché nulle. La discussione vera è sociale e politica. E deve partire da una domanda: siamo davvero sicuri che non ci sia un legame tra gli aborti e quello che viene definito «l’inverno demografico»? Nel 2018 gli aborti sono stati circa 76 mila. La legge 194 non è la norma che permette l’aborto, ma che regola la libertà di non abortire. E la parte che se ne occupa, cioè i primi articoli della legge sulla prevenzione, sono stati largamente inapplicati. Inutile accanirsi sulle motivazioni, perché si avvierebbe l’ennesimo scontro ideologico. Meglio prenderne atto e trovare una soluzione. E l’unica è quella di progettare politiche economiche nuove a favore delle donne, delle madri, dei padri, dei figli e delle famiglie. La motivazione è anch’essa una sola: superare le condizioni di disagio, anche economico, che portano all’interruzione della gravidanza. Ciò non significa che l’aborto sparirà, ma forse diminuirà. Questa è la vera battaglia civile sulla impegnarsi guelfi e ghibellini. C’è bisogno di uno scatto di consapevolezza sociale e culturale. Non è una battaglia «cattolica», né della Chiesa. Ma civile, perché è una scelta a favore del futuro. Naturalmente essa fallirà se si rende ancora più privato l’aborto, più silenzioso, questione di cui si deve occupare solo la donna.

Accanto alla legge 194 va considerata anche la 405 sui consultori familiari. Che sembrano falliti e ne è una conferma il fatto che la pillola Ru486 può essere distribuita anche nei consultori considerati luoghi in cui si può abortire, poiché non sono strutture ospedaliere. Ebbene, sia la 194 sia la legge 405 indicano i consultori come luoghi di prevenzione e di informazione sull’aborto. Ai tempi della discussione della legge in Parlamento si decide di spostare dall’art. 15 all’art. 2 il ruolo dei consultori proprio per rafforzarne la funzione preventiva. Oggi le linee guida del ministro Speranza fanno una capriola all’indietro e sbaragliano la funzione dei consultori.

Non si tratta di dettagli, così come l’aborto non è un dettaglio, anche se rischia di diventarlo, gettato tutto sulle spalle delle donne, quelle stesse a cui lo Stato non riconosce ancora lo stesso stipendio degli uomini. Far sparire l’aborto con gli anatemi è impossibile. Creare le condizioni perché scompaia progressivamente invece è possibile da parte di una società più consapevole della complessità con cui accogliere tutti: dai bambini agli anziani.

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