L’amore senza limiti
un dono da custodire

Ancora una volta su quel sottile confine che è la soglia della vita si consuma un dramma di coscienza nel cuore della vecchia Europa. Questa volta il contesto è francese: l’ospedale Sébastopol di Reims, dove dal 2008 vive in stato vegetativo Vincent Lambert, 42 anni, vittima di un incidente automobilistico che gli ha causato un coma profondo. Dopo anni di discussioni laceranti ieri mattina i medici hanno deciso di avviare la pratica per lo stop delle cure: seguendo le procedure annunciate, Vincent è stato sedato profondamente e gli sono state tolte l’idratazione e l’alimentazione.

La disidratazione avrebbe provocato un’insufficienza renale che porta al decesso. Ma ieri sera il colpo di scena: la Corte d’Appello di Parigi ha ordinato la ripresa delle cure, accogliendo il ricorso dei genitori. Purtroppo attorno al capezzale di Vincent si sta consumando un altro dramma: quello di una famiglia divisa sul destino del loro caro. Da una parte i genitori, Vivienne e Pierre, lei 73 anni lui 90, che in questi anni hanno ostinatamente lottato perché al loro figlio fosse garantito il diritto di vivere; dall’altra la moglie e i sei fratelli di Vincent che invece, seguendo i medici, sono d’accordo sul lasciar morire quella persona a cui pur volevano bene. Davanti a situazioni come queste è meglio lasciar da parte gli estremismi. Bisogna calarsi nella fatica e nel dolore di una famiglia che da oltre dieci anni convive con questo dramma, e che arrivata a questo bivio pensa in modo diverso a quale sia il «bene» per il loro caro. Fare di Vincent una bandiera per il diritto alla vita o all’opposto per l’eutanasia è un ulteriore vulnus che verrebbe inferto alla sua biografia dolorosamente sfortunata. C’è lui e ci sono persone che gli hanno voluto bene in modo diverso.

Detto questo la vicenda ci lascia però un’immagine che è difficile dimenticare: sono i volti di quei due anziani genitori che hanno intrapreso una battaglia che per loro era innanzitutto una battaglia d’amore. Li abbiamo visti in tante fotografie a testa alta, rivendicare le ragioni che non erano innanzitutto loro, ma erano di quel ragazzo che non poteva prendere voce. Li abbiamo sentiti testimoniare di quei piccoli, incoraggianti segni che Vincent di tanto in tanto dava e che secondo loro ci si ostinava a minimizzare («gira la testa, ho così tanti video, ma nessuno vuole vederli», ha ripetuto più volte la mamma). Papà Pierre dall’alto dei suoi 90 anni in questi mesi ha parlato soprattutto con gli occhi, che ogni volta nelle fotografie sembravano imploranti, come se chiedesse al mondo «sordo» che lo circondava di capire la bontà delle sue ragioni.

Non sono dei «mostri» i medici di Reims che hanno deciso di staccare la spina; e non sono loro complici la moglie, i fratelli e la sorella di Vincent. Eppure questa vicenda ci ha consegnato la testimonianza vissuta di un qualcosa che vale di più di tutti i discorsi sui valori in gioco: è l’amore irriducibile di due genitori per un loro figlio. Un amore che non misura la vita su un parametro di presunta «qualità», ma la considera come un dono che vada comunque custodito. Per il mondo questo amore può avere un aspetto irrazionale, anti economico; può essere visto come inutilmente ostinato e addirittura lesivo nei confronti di chi ne è il destinatario (il povero Vincent, in questo caso). Ma forse proprio in questa dimensione, che oggi dal mondo non viene né capita né accettata, sta il valore di un amore come quello di Vivienne e Pierre: nella gratuità con cui accetta e accoglie anche una condizione che sembra incomprensibile, con cui si lascia catturare dalla commozione della vita anche là dove la vita s’è fatta terribilmente esile. Abbiamo tutti da esser grati di un amore così, qualunque sia il nostro sentimento davanti a questa vicenda.

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