L’azione del dono
antidoto al rancore

Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio è un proverbio cinico e deleterio. Cosa tiene insieme infatti una comunità e i rapporti umani se non anche la reciproca fiducia? La negazione di questo atteggiamento è tra le cause della disgregazione di tanti luoghi del nostro vivere quotidiano: il prossimo è una persona sospetta, di cui è meglio non fidarsi perché probabilmente ha cattive intenzioni. Se l’accortezza è giustificata, non lo è l’isolamento dalle relazioni sociali con sconosciuti che ci potrebbero invece arricchire.

Gli sfiduciati guardano con diffidenza ormai anche al mondo del non profit: basta un’inchiesta giudiziaria su un’associazione, amplificata dal web, per stigmatizzare un intero mondo, fatto per la maggior parte invece di realtà serie, con bilanci certificati e la cui correttezza ed efficacia è misurabile dalle opere realizzate e dai servizi offerti gratuitamente. Eppure nel clima rancoroso e sospettoso di questi tempi c’è un’altra Italia che continua a costruire fidandosi. Secondo un’indagine dell’Istituto italiano delle donazioni, stilata in occasione della Giornata del dono che ricorre domani, 10 milioni di persone nel 2017 hanno elargito almeno una donazione economica a organizzazioni del non profit.

A questo dato già di per sé rilevante vanno aggiunti 6,3 milioni di persone che in modo informale hanno sostenuto azioni di solidarietà senza la mediazione di associazioni. Questi due gruppi hanno versato complessivamente 7,7 miliardi di euro a sostegno di progetti in ambiti diversi.

Ci sono poi persone che hanno donato non denaro, ma tempo per azioni di volontariato: l’Istat stima in 6,9 milioni quanti hanno svolto attività gratuita per almeno un’associazione (è il 13% della popolazione italiana sopra i 14 anni) per un totale di 1,4 miliardi di ore donate. La crisi economica e sociale ha colpito la propensione a donare ma i numeri che abbiamo indicato certificano l’esistenza di un mondo che ha ancora fiducia nel prossimo e pratica il dono. Non è scontato e non è un fenomeno da sottovalutare, perché costruisce relazioni, appartenenze e nuove comunità. Ne abbiamo testimonianza proprio nella Bergamasca, dove le 3 mila associazioni censite dall’Istat danno risposte a bisogni altrimenti insoluti. Il censimento non tiene poi conto dei tanti gruppi informali che nascono intorno a urgenze particolari o che promuovono piccoli progetti di cooperazione con il Sud del mondo, spesso a sostegno di missionari originari del paese dove sono sorti i gruppi.

Se l’Italia ha resistito alla crisi meglio di altri Stati lo si deve proprio a questa rete di organizzazioni solidali che si spendono perché nessuno resti solo. Una resistenza possibile in aggiunta al cosiddetto «welfare familiare», il sostegno materiale che tante famiglie garantiscono a parenti in difficoltà. Il «welfare familiare» è una forma di mutuo aiuto sorta ben prima della crisi. Secondo una recente ricerca Ipsos, il 77% dei nonni ha dichiarato di sentirsi ancora utile quando è coinvolto nel prendersi cura della famiglia e nelle faccende domestiche. E i nipoti sono felici dell’accudimento dei nonni. «ProntoPro», il portale numero uno dei servizi in Italia, ha calcolato quale sarebbe il giusto compenso se gli anziani dovessero essere pagati per tutto quello che fanno per i nipoti: duemila euro al mese. Ma invece è un impegno gratuito, che permette ai genitori di lavorare avendo qualcuno che accudisce i figli.

Dono e fiducia sono due parole (e azioni) che devono tornare ad avere piena cittadinanza nel dibattito pubblico. Una società sfiduciata e che non sa donare è destinata al declino, rifiutando gli antidoti ai propri mali: cultura del sospetto e chiusura.

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