L’azzardo antieuropeo
tra minacce e obiettivi

Emorragia degli investimenti esteri sul debito pubblico italiano, innalzamento dello spread, (quasi certo) declassamento del rating appena sopra la soglia oltrepassata la quale i nostri Btp diventerebbero titoli spazzatura, fine del quantitative easing, bagliori di default: tra danni procurati e rischi in agguato il governo Conte avrebbe di che preoccuparsi, e non poco. Come non bastasse, è stato fatto oggetto d’inviti pressanti a usare cautela nel far ricorso al deficit da parte di un po’ tutte le autorità istituzionali, nazionali ed internazionali: dalla presidenza della Repubblica alla Banca d’Italia, dalla Bce all’Ecofin, per non dire della Commissione Europea. Eppure, Salvini e Di Maio proseguono imperterriti nel richieder fondi a debito pur di finanziare le loro promesse elettorali.

Inutile girarci attorno, c’è una domanda che aleggia nel confronto politico di questi giorni e che tutti cercano di scansare perché troppo allarmante: l’abbandono dell’euro è per Lega e M5S una minaccia da brandire al cospetto degli avversari o un obiettivo da perseguire? O tutte le due cose insieme?

Nel senso che, se con la minaccia i giallo-verdi non ottengono il placet dell’Ue e una certa benevolenza dei mercati, sarebbero decisi a riportare in vita la vecchia lira, costi quel che costi.

In altri tempi una minaccia del genere sarebbe stata un’arma spuntata. Non oggi. I populisti di tutta Europa hanno il vento in poppa e si aspettano dalle prossime elezioni un gran ribaltone nei vertici di Bruxelles che porti all’abbandono dell’austerity. Ci fanno ancor più conto i populisti di casa nostra.

Forti del 60% e più di consensi, non temono, anzi sarebbero ben contenti di fare un ricorso anticipato alle urne, sicuri di incassare il pieno di voti. Infine, godono di un vantaggio insperato: l’opposizione è più liquida, che di più non si può.

Ovviamente, una minaccia è sempre una minaccia, il che comporta anche un azzardo. Può sempre darsi che i conti non tornino o che intervenga un incidente di troppo a rovinare le cose. Per esempio, un declassamento del rating che faccia scappare i creditori del debito pubblico italiano. Uno spread che schizzi a 400: livello intollerabile per le nostre finanze. Una crescita che non cresca dall’1% previsto all’1,6% sperato.

Non è detto poi che tutti nella maggioranza giallo-verde rifuggano dall’idea di abbandonare di proposito l’euro. È, questa, una vecchia suggestione coltivata dai grillini. Da parte loro, non più tardi di una settimana fa i leghisti tramite il presidente della Commissione bilancio della Camera, Claudio Borghi, non han mancato di auspicare il ritorno alla lira.

Difficile, in conclusione, dire se siamo in presenza di una minaccia agitata solo per condurre la trattativa al rialzo o del proposito espresso di attuare il famoso Piano B del ministro Savona (l’equivalente di Italexit) che trovano conveniente fingere di subire. Sono troppe le variabili in gioco e non ci aiuta certo a sciogliere il quesito il continuo ondeggiamento dei vari leader giallo-verdi che fanno a gara a smentirsi l’un con l’altro.

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