Le cure domestiche
fuori dall’incubo

In attesa di vedere come si risolverà il «tira-molla» sulla realizzazione nei vecchi padiglioni della Fiera di Milano di un maxi-reparto di Terapia intensiva (una «bega» che ha più il sapore di un braccio di ferro politico rispetto ad un progetto realmente condiviso dai medici e dagli infermieri che poi quel hub lo dovranno gestire), tra qualche giorno, un piano dell’albergo «Winter Garden di Grassobbio» ospiterà i primi pazienti bergamaschi che hanno sconfitto il virus, ma che, in via di guarigione, non possono ancora far rientro nelle proprie abitazioni perché prive di quegli spazi necessari (principalmente una camera da letto e un bagno riservato) per tenere al riparo dal Covid-19 gli altri componenti della famiglia. È il frutto concreto - e messo a punto in tempi rapidissimi con il sostegno di Ats - di «Abitare la cura», la sottoscrizione aperta lo scorso venerdì da «L’Eco», Caritas Diocesana e Confindustria Bergamo, con lo spirito di alleggerire l’ormai insostenibile pressione che oggi grava sugli ospedali bergamaschi, stremati dall’enorme sforzo che da settimane sostengono nel prendersi cura di questi malati. Un aiuto agli ospedali dunque (che potranno così riservare ad altri malati gli spazi lasciati liberi da chi non aveva più bisogno di un aiuto intensivo, ma che non aveva altri posti in cui andare perchè la rete territoriale ne è sguarnita), ma anche alle famiglie dei malati, impossibilitati a garantire

quell’assistenza e quelle cure (se pur non più intensive) di cui i loro cari hanno ancora bisogno. Grazie all’immediato sostegno di alcune grandi realtà industriali e imprenditoriali (le trovate tutte a pagina 2 e 3), nel giro di pochi giorni, anche il secondo e il terzo piano del Winter Garden di Grassobbio ospiteranno complessivamente sessanta convalescenti.

Contrariamente a quanto qualcuno potrà pensare, posti di questo tipo (Ats ne sta allestendo anche in altre strutture) saranno utili anche quando la pressione di queste ultime settimane sulle strutture ospedaliere sarà venuta meno. Gli ospedali, infatti, torneranno - dovranno tornare! - alla normalità, il che non vuol dire però che non ci si ammalerà più di Covid-19. Sembra avere un qualche fondamento, infatti, uno studio inglese secondo cui non riusciremo a liberarci del «nuovo coronavirus» prima della primavera del prossimo anno, in sostanza tra dodici mesi giusti giusti. Tra un paio di settimane (speriamo meno) la curva di crescita del Covid-19 avrà raggiunto il proprio massimo, per poi stabilizzarsi e, infine, cominciare a decrescere lentamente. Gli ospedali cominceranno a «respirare», ma il virus sarà sempre in circolazione, colpendo ovviamente un numero sempre minore di persone che, più fortunati rispetto a chi è stato colpito dal virus di questi tempi, non avranno difficoltà ad accedere agli ospedali, per poi finire la convalescenza in strutture più leggere. Arriveremo tutti all’autunno con lo spettro di Covid-19 che aleggerà ancora nell’aria e un organismo forse più debilitato che dovrà affrontare l’influenza del prossimo anno non sapendo ancora bene fino a che punto il terribile virus di queste settimane potrà ancora inserirsi a gamba tesa. E così passerà un altro inverno per arrivare, appunto, alla primavera del 2021. La speranza è che, nel frattempo, gli scienziati abbiano trovato vaccini o nuovi farmaci capaci di contrastare presto e bene Covid-19.

Ecco perchè, al di là dei grandi gruppi che sostengono «Abitare la cura», è necessario che ciascuno di noi ne comprenda la filosofia, e, se la condivide, la sostenga, anche con cifre che a prima vista possono sembrare insignificanti. Il valore di un’azione solidale, per sua stessa definizione, non può essere misurato da nessuno. Il «solidum obligari» da cui deriva la parola solidarietà, altro non era che un’obbligazione per cui diversi debitori si impegnavano a pagare - gli uni per gli altri e ognuno per tutti - una somma presa in prestito o dovuta in altro modo. Gli uni per gli altri e ognuno per tutti: il segreto sta tutto qui. E questo segreto, il grande cuore bergamasco lo conosce fin dalla notte dei tempi. Lo conosce e lo ha sempre messo in pratica, riuscendo dove altri hanno fallito.

Il premier inglese Boris Johnson (laureato ad Oxford con una tesi in Storia antica, studioso del mondo classico, appassionato della storia e della cultura di Roma, su cui ha scritto un saggio, proponendo persino la reintroduzione del latino nelle scuole pubbliche inglesi), a proposito dell’epidemia di Covid-19 che si appresta ad espandersi anche Oltremanica, ha detto al proprio popolo «Abituatevi a perdere i vostri cari». Mirabili le parole che ieri gli ha indirizzato lo storico dell’arte Philippe Daverio: «Mr. Johnson, mi ascolti bene. Noi siamo Enea che prende sulle spalle Anchise, il suo vecchio e paralizzato padre, per portarlo in salvo dall’incendio di Troia, che protegge il figlio Ascanio, terrorizzato e che quella Roma, che Lei tanto ama, l’ha fondata. Noi siamo Virgilio che quella storia l’ha regalata al mondo. Noi siamo Gian Lorenzo Bernini che, ventiduenne, quel messaggio l’ha scolpito per l’eternità, nel marmo. Noi siamo nani, forse, ma seduti sulle spalle di quei giganti e di migliaia di altri giganti che la grande bellezza dell’Italia l’hanno messa a disposizione del mondo. Lei, Mr. Johnson, è semplicemente uno che ci ha studiato. Non capendo e non imparando nulla, tuttavia. Take care».

Ecco, noi siamo così, orgogliosi di essere italiani, orgogliosi del carattere della razza bergamasca: «fiama de rar, sota la sender, brasca». Insieme, vinceremo anche questa sfida. Grazie del vostro aiuto.

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