Le misure bandiera
Sfida del governo

Il Consiglio dei ministri ha sciolto gli ultimi nodi su reddito di cittadinanza e quota 100, i due provvedimenti bandiera di Cinque Stelle e Lega. Incontro positivo, governo soddisfatto: «Ci sono tutte le risorse», afferma una nota di Palazzo Chigi, al termine del vertice di maggioranza che simbolicamente conclude un iter difficile passato anche dalle forche caudine della Commissione europea. Via libera agli stanziamenti per il Tfr degli statali anticipato per tutti e per il Fondo Alitalia (ancora una volta l’ex Compagnia di bandiera riceve fondi pubblici per salvaguardare l’occupazione).

Sul capitolo pensioni c’è una clausola «salva-spesa», anche per evitare sforamenti per l’uscita anticipata con quota 100. Una clausola farraginosa che ha suscitato le proteste dell’opposizione. Previsto anche un controllo bimestrale dell’Inps che, «nel caso in cui emergano scostamenti, anche in via prospettica», fa scattare la scure sui ministeri competenti (in questo caso al ministero del Lavoro) e, quando non sufficienti, altre misure correttive previste dalla riforma del Bilancio dello Stato. L’accesso alla pensione con la cosiddetta quota 100 (almeno 62 anni di età e 38 di contributi) per i dipendenti pubblici partirà il primo agosto del 2019, una data che scavalca le elezioni europee e non si capisce se è una coincidenza.

Vi è poi il provvedimento cardine dei Cinque Stelle. Secondo quanto emerge dalle bozze del decretone circolate negli ultimi giorni, con l’arrivo del Reddito di cittadinanza, il Reddito di inclusione scomparirà, ma non per chi già lo percepisce e continuerà a beneficiarne per tutta la durata prevista per il vecchio sussidio. Inoltre può essere ancora riconosciuto dal mese di aprile. C’è chi ha commentato che il Reddito di cittadinanza è in realtà un Reddito di inclusione mascherato. In realtà, a ben guardare, non è così. L’assegnazione del primo, in pratica un sussidio per chi non ha ancora un lavoro, si basa su determinati parametri in gran parte anagrafici. Ma soprattutto è vincolato alla ricerca di un lavoro tramite i Centri dell’impiego (che vengono potenziati con circa un miliardo di euro di stanziamenti). Insomma, è un sussidio per dare dignità, ma soprattutto un mezzo per trovare lavoro ai giovani e meno giovani che non ce l’hanno, almeno nelle intenzioni del Governo. Il Reddito di inclusione invece, elaborato dopo una lunga gestazione dall’Alleanza contro la povertà, cui fanno parte numerose associazioni cattoliche, era invece gestito dai servizi sociali (e non territoriali come il Reddito di cittadinanza), non aveva a che fare (se non in pochi casi) con la ricerca di lavoro e si basava su vari parametri relativi allo stato di povertà.

A volte chi è indigente - soprattutto nei casi estremi - non è in grado di lavorare a causa di condizioni familiari (l’età avanzata, una disabilità, uno stato psicologico, dei figli a carico portatori di handicap, una malattia, una ludopatia) e deve essere sottoposto a un progetto che non necessariamente non implica un posto di lavoro. Una situazione in cui si trovano milioni di bisognosi. Forse lo abbiamo liquidato un po’ troppo in fretta, il reddito di inclusione, anche se nel decreto si parla di un metodo simile per queste categorie, senza mai pronunciare la sigla Rei.

Quanto al Reddito di cittadinanza, che in Italia è una prima assoluta, la grande sfida è quella di farne effettivamente uno strumento per sostenere i cittadini nella ricerca di lavoro e non una misura assistenziale, come si teme, soprattutto nel Mezzogiorno.

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