Le nomine in Europa
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Una candidatura di Olivier Blanchard alla Banca centrale europea sarebbe da auspicare. L’ex capo economista del Fondo monetario internazionale, attualmente al Peterson Institute, ha riconosciuto che la politica di austerità adottata in questi anni in Europa ha creato danni. L’idea che le difficoltà dell’economia europea si possano risolvere con la punizione, come nel caso della Grecia, è figlia della paura. Il timore che i Paesi più sviluppati debbano farsi carico dei debiti dei più deboli ha guidato la linea di condotta della Germania.

L’idea di poter gestire l’insieme di 28 Paesi semplicemente con delle tabelle numerarie può venire solo a chi non ha capacità di leadership. Questi anni del cancellierato Merkel sono segnati dall’equazione: ciò che fa bene alla Germania fa bene all’Europa. Si è avuta l’illusione che il teorema potesse funzionare finché alla stanga erano Paesi piccoli come il Portogallo e l’Irlanda o medio-grandi come la Spagna ma di peso politico non rilevante. Quando è toccato all’Italia si è scoperto che non vi è politica economica senza politica sociale.

Improponibile è un’austerità che tagli sui servizi pubblici e sull’assistenza senza una contropartita in grado di compensare gli squilibri sociali. Se vi sono licenziamenti, se una parte delle piccole e medie imprese chiude perché di colpo fuori mercato, occorre creare uno scivolo per i lavoratori colpiti che non sia solo pensionistico ma di riqualificazione professionale. Per far questo ci vogliono politiche convergenti a livello dell’Unione in grado di guidare il fenomeno. È vero che vi sono Paesi che hanno anticipato i tempi e senza alcun aiuto hanno affrontato la riconversione, si guardi alla Danimarca, all’Olanda e alla Germania. Come in una società vi sono componenti votate alla comprensione delle tendenze globali e quindi disponibili al cambiamento così vi sono parti in ritardo, vocate al mantenimento dello status quo. L’Italia porta dentro di sé questa contraddizione, un’industria che è competitiva sui mercati ed una società variegata più incline alla rendita parassitaria e al mantenimento di posizioni di privilegio. Appartenere all’Unione Europea ha significato per gli strati sociali illuminati un ancoraggio alla stabilità, ai comportamenti virtuosi che rendono meno pesante la zavorra del ritardo tecnologico e culturale. Avviare politiche di crescita a livello europeo vuol dire aiutare quelle parti della popolazione che vivono la globalizzazione e le trasformazioni tecnologiche con l’angoscia del perdente. Vuol dire infondere fiducia, allontanare i delusi dalla protesta e riportarli nell’alveo della democrazia.

Le riconversioni sono sempre dolorose ma importante è avere una meta e sapere che non si è lasciati soli. Non è stato così e adesso ne vediamo i frutti. Salvini si muove con risentimento verso l’Europa matrigna, perché così è percepita da milioni di italiani. Questa la miopia dell’economicismo tedesco. Decisive sono le prossime scelte per le cariche di presidente della Commissione, del Consiglio Europeo, della Bce, del Parlamento, e dell’incaricato per la politica estera. Nel gioco degli incastri l’Italia può solo aspirare alla carica di un dicastero economico. La combinazione Olivier Blanchard alla Bce e Timmermans alla presidenza della Commissione sarebbe però favorevole perché entrambi i personaggi hanno capito che senza una visione strategica condivisa l’Europa è destinata a spaccarsi in due. La parte nordorientale a guida tedesca ed un Sud periferico che va per la sua strada. Uno scenario horror per i francesi schiacciati a quel punto sulla Germania senza aver un contrappeso nei Paesi mediterranei. Per l’Italia un’opportunità per far valere il suo peso, sempre che si voglia giocare la partita.

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