Le riforme del Pnrr, l’affanno del governo

ITALIA. Nei mesi scorsi il governo ha in più occasioni minimizzato le difficoltà che stanno emergendo per l’attuazione del Pnrr, sostenendo che tali difficoltà non impediscono che il sistema industriale italiano cresca e si dimostri in grado di ristrutturarsi e di essere competitivo.

Si sottace che questa favorevole condizione è dipesa dal fatto che le imprese sane, che sono la maggioranza del Paese, hanno da tempo capito che il loro mercato era il mondo e hanno accettato con determinazione la sfida della competitività internazionale. Non dovrebbe essere sottovalutato, però, che le imprese italiane hanno nel nostro Paese il quartier generale e gran parte della produzione e che la principale preoccupazione del governo deve essere quella di creare le condizioni affinché la loro competitività venga nel tempo sostenuta. Perché ciò avvenga, è necessario che il sistema Paese, allo stato ancora assai burocratico, poco digitale e poco sostenibile, si trasformi in uno Stato moderno, in grado di offrire alle imprese le condizioni necessarie per lo sviluppo delle loro attività.

I ritardi e i continui rinvii nell’attuazione delle riforme dettagliatamente indicate dal Pnrr, fanno sì che la corsa verso la modernizzazione avanzi a fatica. Ne sono la prova i recenti dati pubblicati dall’Istat dai quali emerge una contrazione dell’economia dello 0,3% rispetto al primo trimestre dell’anno. Non siamo più il Paese che cresce maggiormente in Europa e registriamo un risultato in controtendenza non solo rispetto all’economia dell’Ue, che cresce dello 0,3%, ma anche rispetto ai nostri più importanti competitori come Germania e Francia che crescono rispettivamente dello 0,3% e dello 0,5%. Inoltre, secondo il Fmi il prossimo anno cresceremo meno dell’1% registrando il tasso di crescita più basso nell’Ue.

Nel bel mezzo di queste nuove e poco rassicurante prospettive dell’economia dobbiamo constatare che soprattutto le riforme più radicali - come quelle della Pubblica amministrazione, della Giustizia, della Semplificazione e della Competitività - sono ancora sulla carta. Mancano, infatti, i decreti attuativi e tutti gli atti amministrativi necessari a renderle concrete. Peraltro, si è fatto ancora poco sul mercato del lavoro e nulla sui centri per l’impiego e sulla formazione dei lavoratori disoccupati, così come nulla sul riordino dei 30 miliardi di agevolazioni fiscali.

L’effetto negativo di questa situazione è duplice perché da un lato si allontana l’importante obiettivo della riorganizzazione e della modernizzazione del Paese, dall’altro rischiamo di perdere una parte consistente dei fondi del Pnrr. Il Parlamento e soprattutto le opposizioni dovrebbero tenere gli occhi ben aperti anche sul fatto che molte riforme del Pnrr sono suscettibili di diverse interpretazioni a secondo della volontà politica del governo. Riforme come quella del pubblico impiego, della giustizia, della carriera degli insegnanti, della riduzione dell’evasione fiscale rappresentano obiettivi che hanno enormi potenzialità dal punto di vista del cambiamento strutturale del Paese.

Da una recente analisi svolta dall’Osservatorio dei conti pubblici italiani, presieduto da Gianpaolo Galli, è emerso tra l’altro che «per come sono scritte queste riforme si prestano a interpretazioni minimali e comunque non tali da produrre i cambiamenti che sono auspicabili nelle premesse del Pnrr». E ancora: «In Italia il dibattito pubblico sul Pnrr e l’azione del governo si sono concentrati sul tema degli investimenti, anche se nelle intenzioni iniziali degli estensori del piano il cuore del Pnrr avrebbe dovuto essere rappresentato da riforme in grado di aumentare il potenziale di crescita dell’economia, oltre che di realizzare, assieme agli investimenti, le due grandi transizioni, ecologica e digitale».

A tutte queste considerazioni va aggiunto che gli obiettivi più cogenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, come la riduzione degli arretrati nella giustizia civile e penale e la riduzione dell’evasione fiscale, dovrebbero risultare già in corso di attuazione. Risulta, invece, che siano ancora classificati «come da avviare», il che rende difficile credere che tali obiettivi possano davvero essere raggiunti entro il 2026.

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