L’Europa del Sud
Alleanze necessarie

In Europa ci sono 45 Stati. Al primo posto per Pil svetta la Germania seguita dalla Russia e poi a seguire Gran Bretagna e Francia. L’Italia è quinta. A livello continentale quindi, nonostante un terzo del Paese sia tra le regioni più arretrate d’Europa, l’Italia c’è. Se uniamo la ricchezza prodotta da Italia e Spagna assieme otteniamo 3.700 miliardi di euro, quasi come la Germania. Una forza che se posta sul piatto della bilancia del potere europeo potrebbe contare. Ciò che manca è l’omogeneità politica. La Francia posta nel mezzo può optare per un blocco mediterraneo oppure per un accordo con la Germania.

A Aquisgrana si è capito dove tira il vento. Macron e Merkel hanno firmato il nuovo Trattato e rafforzato la cooperazione. Un passo talmente avanti rispetto allo storico accordo del 1963 firmato dal generale De Gaulle e dal cancelliere Adenauer da costringere il presidente dell’Unione europea Donald Tusk ad ammonire: l’intesa Parigi Berlino non deve essere alternativa all’Ue: 3.800 più 2.700 miliardi di Pil fanno un bel baricentro e tutto il resto diventa periferia.

La Germania ha per affinità identitaria dietro di sé tutto il Nord Europa e per convenienza economica una buona parte dell’Est comunitario ma per la Francia è dura. È sola ed esposta all’egemonia tedesca. Macron pagherà alle prossime elezioni questo sfregio all’incommensurabile orgoglio nazionale francese. Una cambiale che va onorata per godere di un’alleanza con la quale condizionare il Sud Europa. Il rapporto con il mondo mediterraneo è per i francesi sempre una sorta di derivato dello spirito coloniale, si sentono superiori e operano con spirito di conquista. Si guardi alla campagna d’Italia dove i finanzieri francesi sono calati per far man bassa di banche, marchi di lusso, grandi catene di supermercati insomma di tutto ciò che le difficoltà italiche offrivano come occasione. Quando poi finalmente una ditta italiana leader nel settore si fa avanti per acquisire i cantieri navali di Saint Nazaire ecco che Parigi si inalbera e quello che ai coreani era permesso, cioè la maggioranza azionaria di Stx France, agli italiani viene negato. I tedeschi la fanno più da furbi: vincolano ai grandi gruppi automobilistici le industrie del Nord Italia e le fanno diventare subfornitrici. Ne determinano a tal punto i destini da esporle agli alti e bassi dell’economia tedesca. Se l’industria tedesca risente dei dazi imposti da Trump ecco che subito vi sono riflessi sull’economia italiana. L’Italia industriale è legata al carro tedesco, si dice integrazione ma tutti sanno che è subordinazione. La sfida è trasformarsi da semplice fornitore a cogestore della politica industriale europea. Come ha riconosciuto Jean-Claude Juncker sono stati fatti errori con la politica di austerità. Bisognava adottare una politica premiale e non solo sanzionatoria. Le aziende italiane devono aumentare di taglia, sono troppo piccole e spezzettate per poter combattere ad armi pari. Invece si è imposto un giudizio morale. La colpa era di non essere sufficientemente tedeschi. Ora la politica si prende la rivincita. Ma la protesta urlata non basta. Ai francesi e ai tedeschi si può imputare di tutto ma non di non avere il senso dello Stato.

Di Maio grida che la Francia rimane un Paese neo colonialista e pensa di offendere Macron. Si sbaglia, offende i francesi, anche quelli dei gilet gialli che infatti si sono subito defilati. Per fare la guerra occorrono alleanze. Con gli spagnoli, con i greci e i portoghesi, nazioni che hanno interessi comuni con l’Italia. Ma sono governi di altro colore politico e ci vorrebbe quindi una strategia di respiro nazionale, non di partito. Ci attendono ancora quattro mesi di polemiche e di slogan fino alle elezioni europee di maggio. Con la recessione alle porte. Ma all’Italia chi ci pensa?

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