L’Europeo
del Covid
e l’autogol
inglese

Un colossale autogol e per giunta in un Paese già colpito pesantemente dal Covid dove i contagi stanno aumentando in modo esponenziale e molto preoccupante. Ma purtroppo il pasticcio non l’ha fatto un giocatore solo, ma pure l’arbitro: nella fattispecie l’Uefa (realtà a tratti controversa, va detto), quella che può decidere se far giocare o meno la partita. Anzi, le partite, visto che nel bellissimo e nuovissimo Wembley, gioiellino firmato da sir Norman Foster, sono in programma semifinali e finale del Campionato europeo.

Oltremanica il via libera all’uscita dal lockdown è stata rinviata dal 21 giugno al 19 luglio, il premier Boris Johnson si dice fiducioso di mantenere la scadenza e tornare a breve a viaggiare all’estero dopo la seconda dose di vaccino. Solo che in terra d’Albione la variante Delta sta facendo disastri, ma a Downing Street sembrano non preoccuparsi granché. Del resto il suo inquilino, a tratti pittoresco, non è nuovo a topiche clamorose, basti ricordare che all’inizio aveva sottovalutato l’impatto del Covid salvo poi ritrovarsi in ospedale attaccato all’ossigeno. E così, nonostante il diffondersi della variante, per il vittorioso match con la Germania - sempre a Wembley - è stato concesso l’ingresso a 40 mila persone e per le semifinali e la finale si potrà arrivare a 65 mila.

Intendiamoci, Johnson è in ottima compagnia: in questo Europeo itinerante sia la Russia (e il contagio si è diffuso tra i tifosi della Finlandia) che l’Ungheria, ma anche la Danimarca, non hanno messo restrizioni agli spettatori. Paradossalmente la Gran Bretagna l’ha fatto nei match della prima fase, compresi quelli giocati dalla nazionale di casa, per esempio con la Scozia c’erano 2.600 spettatori provenienti dalle Highlands sugli spalti e almeno altri 30 mila a spasso per Londra. Dopo meno di due settimane il saldo segna 2.000 casi di Covid tra i tifosi scozzesi: 400 erano dentro lo stadio, gli altri ad eventi collaterali nelle fan zone.

«Tre indizi fanno una prova» diceva una gloria d’Albione come Agatha Christie, qui ce ne sono almeno 2.000 e il dato è sicuramente destinato a crescere. Solo in Inghilterra ieri si sono registrati 28 mila casi, al 99% alimentati dalla variante Delta. Eppure né Johnson né tantomeno l’ineffabile Uefa hanno fatto un plissé: sul versante nostrano il presidente del Coni Giovanni Malagò si dice convinto che «da qui ai prossimi giorni ci potrebbero essere novità legate all’innalzamento dei contagi in Gran Bretagna». Nel frattempo l’obiettivo è impedire l’arrivo a Roma di tifosi inglesi per il match di domani con l’Ucraina: i biglietti venduti oltremanica sono stati annullati. Ma la questione è di quelle delicatissime, anche perché non è un mistero che l’Uefa debba parecchio a Johnson, il primo a schierarsi in maniera decisa (e decisiva) contro l’ipotesi della Superlega che aveva nei club inglesi un pilastro fondamentale. Difficile che ora il presidente Aleksander Ceferin si metta per traverso e tolga l’atto finale dell’Europeo ai maestri inglesi, lì dove è nato il calcio moderno. Il premier Mario Draghi è stato tra i primi a sollevare la questione, seguito dall’Ue, ma tutto è rimasto sospeso e le performance dei leoni inglesi che, dopo aver superato la Germania, hanno un cammino apparentemente facile verso il ritorno a Londra, non aiutano. Da qualsiasi parte lo si voglia guardare è un pasticcio che rischia di mandare a gambe all’aria gli sforzi fatti in questi mesi per uscire dall’incubo Covid: proprio ieri l’Agenzia europea del farmaco ha affermato che due dosi di vaccino proteggono anche dalla variante Delta. Nel Regno Unito le seconde dosi sono sopra quota 60% e questo sta frenando almeno i ricoveri e, fortunatamente, le vittime, meno però il contagio. E con un contesto del genere portare 65 mila persone allo stadio è semplicemente una follia. Roba da cartellino rosso.

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