L’inchiesta sulla Lega
Il sistema fragile

Il crescente consenso della Lega di Matteo Salvini si accompagna ormai da tempo al passo cadenzato di inchieste penali sui fondi del vecchio ma anche, ora, del «nuovo» Carroccio; sulla stagione di Umberto Bossi e del suo tesoriere Francesco Belsito ma anche su quella dell’attuale Capitano e del suo cassiere Giulio Centemero il cui nome emerge, o emergerebbe, dalle inchieste della procura di Bergamo sul finanziamento illecito che si collegano sia alle indagini sullo stadio della Roma e le dazioni del costruttore Parnasi sia alla sentenza del Tribunale di Genova sui famosi 49 milioni di euro che i leghisti devono restituire a rate allo Stato.

La circostanza di un potere politico che cresce e si rafforza ma nello stesso tempo è indebolito dalle inchieste l’abbiamo già vista abbondantemente nella Seconda Repubblica: per vent’anni abbiamo discusso dei casi di Berlusconi e poi, più brevemente, di quelli di Matteo Renzi. In entrambe le situazioni il dibattito politico ha finito per concentrarsi proprio su quelle vicende, gli interessati hanno denunciato con forza la persecuzione politica ai loro danni, in un capitolo – quello berlusconiano – si è dato luogo ad uno scontro frontale e dilaniante tra la magistratura e un partito alternativamente di governo e di opposizione.

Uno scenario che si sta ripetendo e di certo non fa bene a questo nostro bizzarro sistema politico in perenne transizione verso un futuro di stabilità che non arriva mai. Presto o tardi anche Matteo Salvini, che per ora se ne è quasi astenuto, comincerà a criticare l’uso politico della giustizia e a parlare di inchieste ad orologeria nei confronti della «sua» Lega. È fatale che accada. Perché in qualunque modo vadano a finire tutte queste vicende, soprattutto quelle che stanno emergendo ora nel filone bergamasco, influiscono su un equilibrio politico e istituzionale quantomai precario.

Per due ragioni, essenzialmente. La prima è che le inchieste puntano al partito del ministro dell’Interno e la cosa ha un contorno sicuramente delicato. La seconda è che vanno a toccare il partito che attualmente è, secondo i sondaggi, il primo in Italia. La Lega in soli sei mesi di governo in una rincorsa formidabile dovuta tutta al carisma e all’abilità tattica del suo leader, ha raddoppiato i consensi e ha superato il Movimento Cinque Stelle la cui consistente emorragia di voti gli ha fatto perdere il primato. Si aspetta che le elezioni di maggio consacrino questa realtà per il momento solo sondaggistica. Nel momento in cui accadrà, Salvini sarà ad un passo dal chiedere per sé la presidenza del Consiglio. In qualche modo lo ha già fatto qualche giorno fa nel corso della manifestazione romana in cui ha rivendicato il mandato «di sessanta milioni di italiani» a trattare con Bruxelles, lui e non il premier attuale Giuseppe Conte e tantomeno il suo parigrado Luigi Di Maio che è pur sempre il capo politico del partito di maggioranza relativa nell’attuale Parlamento.

Quindi le inchieste non solo toccano il partito del ministro dell’Interno ma anche del futuro possibile presidente del Consiglio. Se proprio ci mancava un elemento distorsivo nella dinamica politica semi impazzita che stiamo vivendo, eccolo servito fumante sulla tavola. Perché le cose vanno soppesate non dal punto di vista di una parte, o di un partito, o del destino di un leader politico, ma ben più responsabilmente dal quello del sistema politico nel suo complesso, mai così fragile e sconnesso. Ecco il dato più preoccupante per tutti, per i sostenitori di Salvini e per i suoi avversari politici. Vale la pena di ripetere ancora una volta l’auspicio formulato migliaia di volte in passato: che la giustizia faccia chiarezza in tempi rapidi.

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