Lo strappo dell’Austria
e le ragioni dell’Europa

«D obbiamo quindi prepararci per ulteriori mutazioni e non dovremo più dipendere solo dalla Ue per la produzione di vaccini di seconda generazione». Con questa dichiarazione il primo ministro austriaco Sebastian Kurz dà il «rompete le righe» e si smarca da Bruxelles. Lo seguono Danimarca, Repubblica Ceca, Grecia ovvero quei Paesi denominati «First movers» che con Norvegia, Israele, Australia e Nuova Zelanda questa estate hanno costituito un gruppo per studiare risposte più celeri al diffondersi della pandemia. Adesso Vienna è arrivata alla conclusione che aspettare l’Unione Europea vuol dire perdere tempo prezioso.

Kurz con il primo ministro danese Mette Fredriksen si è messo in viaggio per Israele e vuole fissare con il primo ministro Benjamin Netanyahu le modalità di collaborazione per la produzione dei vaccini di seconda generazione, quelli che dovranno adattarsi alle varianti del virus. Gli Stati nazionali lentamente si stanno riprendendo le competenze delegate alla Commissione Europea. La sanità è di competenza degli Stati e l’aver conferito a Bruxelles la delega a trattare sui vaccini e quindi il coordinamento dell’approvvigionamento è stato interpretato come il primo passo verso una condivisione della politica sanitaria dei 27 Stati membri. Un atto di preveggenza politica che ha impedito la corsa selvaggia al vaccino.

È stata resa possibile la creazione di un interlocutore unico verso le grandi ditte farmaceutiche. Il potere contrattuale di un’area economica e politica di 27 capitali unite verso un comune obiettivo è certamente superiore a quella del singolo Paese. Kurz, infatti, non nega la bontà politica del progetto, lamenta solo i ritardi nelle forniture dei vaccini e la lentezza nella concessione delle autorizzazioni da parte dell’Agenzia europea del farmaco (Ema). Ed è qui che nasce il problema, perché il disagio è diffuso in tutta l’Unione Europea e se anche molti governi ancora tacciono, le opinioni pubbliche protestano. Ursula von der Leyen è additata come la responsabile principale dell’inadeguatezza delle autorità europee nei confronti delle Big Pharma. Anche Mario Draghi durante l’ultimo vertice virtuale dei capi di Stato e di governo ha fatto presente la necessità di rivedere i contratti e comunque di fare pressioni affinché le quantità di vaccino promesse giungano a destinazione.

Emerge una debolezza di fondo della Commissione europea che non è imputabile ai soli errori della presidenza. In primo luogo, quando il presidente americano agisce, lo fa con la consapevolezza di avere dietro di sé l’intera nazione e lo stesso fa il primo ministro britannico. A Bruxelles hanno dietro di sé 27 potenziali litiganti che mirano a portare a casa il massimo interesse nazionale con il minimo di spesa. Ed è quello che è accaduto perché la consegna per il capo delegazione Ue, l’italiana Sandra Gallina, era di trattare sul prezzo, di spendere il meno possibile per evitare proteste dalle capitali. Ancora adesso il bilancio Ue per i prossimi sette anni non è stato licenziato perché molti membri vogliono ridurre il contributo e ritengono che quei soldi non vadano dati a Bruxelles. Tutto questo quando sia il governo americano che quello britannico e israeliano non hanno badato a spese pur di intestarsi l’assegnazione delle commesse vaccinali.

Questa mancanza di spazio decisionale ha legato le mani all’Unione. I sovranisti rialzano la testa, ma con l’arrivo di Mario Draghi Francia e Germania hanno trovato un alleato che non scambia errori contingenti con la necessità storica di fare quadrato. È interesse dell’Italia facilitare il processo costituente europeo ed è in momenti come questo che l’Unione scopre la sua ragione d’esistere.

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