Lo studente torturato
nell’Egitto alleato

Capita spesso di leggere o di ascoltare parole sulla crisi istituzionale delle democrazie occidentali, sulla loro incapacità di rappresentare i bisogni emergenti dei cittadini, sulla necessità di velocizzare i processi decisionali e quindi dell’urgenza di riforme. Tutto vero. Poi però emerge la storia di Patrick Zaky, 28 anni, egiziano, studente per un master all’Università di Bologna grazie al progetto Erasmus, arrestato il 7 febbraio scorso al suo rientro in patria, con l’accusa pesantissima di «diffusione di notizie false attraverso i social network, incitamento alle proteste non autorizzate, apologia di crimini di terrorismo e attività volte a destabilizzare la sicurezza nazionale».

In realtà sono le classiche imputazioni altisonanti che i regimi paranoici rivolgono agli oppositori (accade anche in Turchia). Un particolare da non sottovalutare poi: Zaky è un cristiano copto, quindi lontano dall’ideologia di gruppi jihadisti. Fa parte di un’organizzazione non governativa che lotta per la difesa dei diritti umani e nel settembre scorso ha partecipato alle proteste contro la dittatura militare del presidente Abdel Fattah al-Sisi, sanzionate con duemila arresti. Prelevato all’aeroporto del Cairo, lo studente attivista è finito nelle mani dei servizi segreti, imprigionato e torturato. Oggi ci sarà l’udienza del Riesame sulla custodia cautelare.

La storia di Zaky richiama quella di Giulio Regeni, ricercatore friulano di 28 anni, rapito il 25 gennaio 2016 nella capitale egiziana e trovato morto il 3 febbraio successivo sul ciglio di una strada. Il punto di contatto sono i servizi segreti che hanno avuto in custodia i due giovani. Ma Regeni era «di passaggio» e sarebbe rimasto in Egitto fino al termine della sua ricerca sui sindacati locali, uno studio ritenuto però sospetto dagli apparati del regime e pagato con la vita. La Procura di Roma ha condotto un ottimo lavoro, nonostante la mancata collaborazione del Cairo, ed ha indagato cinque 007 egiziani per il delitto. I mandanti restano ignoti: i genitori di Giulio accusano i governi italiani di non aver fatto abbastanza pressione su al-Sisi e di aver rimandato l’ambasciatore italiano Giampaolo Cantini nella città dove il loro figlio è stato ucciso. Un’altra differenza riguarda l’atteggiamento degli atenei dei due studenti. L’Università di Bologna si è mobilitata su più fronti, ottenendo il sostegno della conferenza dei Rettori italiani, mentre la Procura di Roma ha biasimato la mancata collaborazione della professoressa di Giulio a Cambridge.

Italia ed Egitto sono solidi alleati. Il commercio bilaterale supera i 5 miliardi di euro. Dopo il delitto Regeni c’è stato addirittura un incremento delle relazione economiche. L’Eni è il principale operatore petrolifero straniero nel Paese delle piramidi, dove vanta una presenza consolidata da oltre 50 anni e recentemente ha scoperto ingenti giacimenti di gas nel Mediterraneo. Poi c’è il commercio militare: nel 2016 il regime di al-Sisi ha ricevuto dall’Italia 2.450 kg di armi e munizioni, per un valore complessivo di un milione di euro; Leonardo, azienda italiana leader nell’aerospazio, nella difesa e nella sicurezza, ha venduto all’Egitto elicotteri ed aerei, mentre Fincantieri ha sottoscritto con il Cairo un contratto per la fornitura di sei nuove navi da guerra. Per tutto questo, il nostro governo non intende rompere i rapporti con un Paese che considera decisivo per la stabilità in chiave di contrasto all’immigrazione irregolare e al terrorismo jihadista che alberga nel Sinai. In Libia gli egiziani sostengono (e armano) il generale Khalifa Haftar, l’Italia invece il governo legittimo di Fayez al-Sarraj, ma questo è un dettaglio...

Chi invece ha fatto sentire la propria voce è stato il Parlamento europeo. Il presidente David Sassoli mercoledì scorso aveva chiesto l’immediato rilascio di Zaky, ricordando «alle autorità egiziane che l’Ue condiziona i suoi rapporti con i Paesi terzi al rispetto dei diritti umani». Ieri la replica del presidente della Camera dei deputati egiziana, Ali Abdel Aal, secondo il quale le richieste di Sassoli sono «un’ingerenza inaccettabile negli affari interni e un attacco contro il potere giudiziario egiziano». Parole che rappresentano una gaffe perché rivolte a un connazionale di Regeni. Quel potere giudiziario poi tiene in carcere senza processo 140 mila oppositori: giornalisti, parlamentari, attivisti e semplici cittadini.

Le acciaccate democrazie della Ue sono una meta ambita anche da studenti che vivono sotto il tallone delle dittature. Quando riescono a parlare attraverso le istituzioni europee, il continente potrebbe ambire a un ruolo di difensore del diritto e della libertà, in un mondo in preda ai demoni della disumanizzazione.

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