L’Occidente non è più la guida del mondo

Al Congresso comunista che lo ha incoronato imperatore, Xi Jinping ha profittato, tanto che c’era, per tracciare il confine tra il bene e il male. Vale sempre il suo documento «n. 9» del 2012, in cui si dice che «ogni membro del partito ha il dovere di combattere ovunque e sempre i valori occidentali». Noi che siamo al di qua di questa demarcazione, faremmo bene a riflettere sul fatto che l’occidente - che poi è solo una parte di ciò che per tale geograficamente si intende - è sempre più in minoranza, anche se noi, presuntuosi, crediamo di essere la guida del mondo. In realtà, allo stato, il futuro appare più cinese che occidentale e per ora solo la forza degli interessi economici che legano Pechino all’Europa e agli Usa possono darci speranza di sviluppi più armoniosi.

Ma il documento «n. 9» riguarda la nostra libertà. I valori che Xi vuol combattere sono il Montesquieu della separazione dei poteri, lo stato di diritto, Voltaire, i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino, la libertà economica da legare sempre alle altre libertà. Sono il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me di Kant. Ci vergognamo un po’ a dire queste cose perché suonano retoriche e magari, sbagliando, non le raccontiamo come basilari ai giovani, ma poi ti trovi un carro armato in giardino a Bucha.

Vladimir Putin, che è un po’ meno raffinato dei politici cinesi, è andato giù diritto già nel maggio 2019 in un’intervista al Financial Times sentenziando che «l’idea liberale è ormai obsoleta». Detta da un’autocrate che già metteva in galera, o ben peggio, gli oppositori, sembrava a molti solo folclore di un ideologo improvvisato. L’importante, soprattutto per tedeschi e italiani, era che continuasse a venderci il gas a buon prezzo, anche se molti ammiratori nostrani del decisionismo sovranista come soluzione dei problemi complessi, sotto sotto già quasi gli davano ragione (e temiano presto di sentir di nuovo parlare di sanzioni boomerang). Uno degli esercizi più diffusi in Occidente è l’antiparlamentarismo, carburante del populismo più facile. Meglio uno che decide che il bizantinismo della democrazia liberale, tutta procedure, tempistiche, formalità da rispettare, partiti sempre presi a discutere con linguaggio oscuro. E giù colossali astensioni alle elezioni, «perché tanto non cambia niente». Per Putin, anche per questo, le democrazie occidentali sono marce, corrotte, decadenti. E in fin dei conti codarde, perché trovano scomodo reagire, vedi Crimea. Lo ha detto con brutalità il 23 febbraio scorso prima di andare a prendersi in tre giorni Zelensky.

L’indecorosa fuga degli americani dall’Afghanistan, due anni dopo quell’intervista, con i portelli degli aerei chiusi in faccia ai disperati, confermava la valutazione. Per lui, questi occidentali sono dominati da cricche di minoranze deviate, che chiamano diritti il disordine della libertà, tant’è che proprio in questi giorni la Duma, in piena guerra, sta discutendo una legge per punire i comportamenti sessuali «non tradizionali».

In questa ottica, dopo la Crimea e la Georgia, l’invasione dell’Ucraina poteva dunque godere del tacito consenso dei nuovi Chamberlain. Così non è andata, per ora, a Kiev, ma le parole sono spesso più incendiarie delle bombe e due autocrati mettono già insieme più di un miliardo e mezzo di uomini che dovrebbero essere liberi. Nella stessa Europa, un po’ per tattica, un po’ per controllare meglio il potere, non è che la democrazia illiberale di Orban e dei polacchi, e anche dei romeni, sia concetto tanto diverso dall’obsolescenza di cui parla Putin. E fa benissimo il Parlamento europeo a chiedere coerenza a chi incassa i soldi di Bruxelles, ma non si riconosce nei principi.

Smettiamo dunque di crogiolarci nella nostra presunta superiorità intellettuale. Siamo noi la minoranza. L’unico sovranismo che può aiutarci è quello europeo. Altrimenti ci andrà già bene se qualcuno verrà a sollevarci per le ascelle e ci porterà via, senza bisogno di tante votazioni a scrutinio segreto.

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