Maternità e miseria, quel caso ci interroga

Italia.«Come farebbe a vivere con me al gelo?». Le cronache del Natale hanno scoperto un’esistenza di maternità e miseria inaccettabili. Una donna vive col suo compagno in un rifugio davanti alla stazione del metrò di San Donato, alle porte di Milano

Tre ombrelli aperti più uno rotto, un carrello del supermercato e una coperta militare, il freddo che morde soprattutto di notte e ci si rifugia in metropolitana o sulle grate in strada che gettano folate di caldo, il risveglio alle cinque quando la brina attacca perfino sui vestiti, il caos dei pendolari indifferenti che le passano davanti. Lei è madre, ha partorito un neonato vissuto come un peso in quella specie di giaciglio dopo aver portato avanti la gravidanza ma non lo ha riconosciuto. Il bimbo, venuto alla luce il 2 dicembre all’ospedale di Melegnano, verrà adottato da una coppia. «Come si fa a tenere un neonato in questa situazione? Che senso aveva?», ripete lei. Lui e lei vengono da Cagliari, un passato di persone normali, la scuola, gli studi, i genitori, i nonni, il lavoro che non c’è più, poi un’esperienza in Germania dove hanno avuto guai giudiziari per debiti e infine il viaggio a Milano con il foglio di via.

La coppia potrebbe chiedere il reddito di cittadinanza ma non ha documenti, è invisibile. Non vogliono andare nei dormitori («perché se no ci separano»), non possono nemmeno elemosinare in centro «dove ci mandano sempre via». L’orizzonte non va più in là della giornata per sopravvivere: quattro spiccioli di carità, cartoni che fanno da materasso e, come un fiore in una discarica, un libro raccattato in qualche cassonetto. «Mi piace leggere. Vorrei un lavoro ma chi se la prende una come me»? È una madre, è come noi, solo più sfortunata di noi, dovrebbe essere figlia di noi tutti, la prima ad essere protetta. E invece ha dovuto rinunciare a suo figlio. Uno Stato che è anche Welfare non dovrebbe adottare lei, prima di lasciare che il figlio venga adottato? Pensiamo istintivamente che in fondo è meglio così, il bambino è fortunato perché finirà tra le braccia di una coppia che gli garantirà un futuro. Ma così rimuoviamo solo il dramma di una madre - sangue del suo sangue - che avrebbe potuto amarlo con lo stesso affetto e non l’ha potuto fare perché la vita l’ha scaraventata nella miseria. Uno Stato indifferente nei confronti del diritto naturale è già uno Stato etico e dunque disumano.

Giustamente la ministra della Famiglia Eugenia Roccella ha ricordato che la legge 194 era nata anche per evitare situazioni del genere e aiutare le madri che hanno messo al mondo un figlio, grazie all’opera dei consultori. In realtà quella legge è sostanzialmente una norma che consente di interrompere la gravidanza. «Non possiamo avere la certezza che in condizioni diverse Sabrina avrebbe tenuto il bambino, sappiamo però che queste sono le motivazioni addotte. E sappiamo che sono tante le Sabrina che rinunciano alla maternità per ragioni economiche», ha scritto la ministra. «Non serve una legge, perché la legge c’è. È la legge 194 e andrebbe soltanto attuata. Perché anche tanti che a parole la difendono poi non la mettono in pratica nella sua interezza. Anche questo è un problema di libertà femminile». Questa vicenda suscita angosciosi interrogativi. Quante madri sono state, sono o stanno per finire nella condizione di senza fissa dimora di San Donato? Nel 2023 molte italiane perderanno il reddito di cittadinanza, scivolando nella miseria più totale. Cosa si impegna a fare il governo, lo Stato, per evitare che si ripetano storie come questa? O come sempre dovrà farsene carico la Caritas, la San Vincenzo, le onlus della carità? Siamo arrivati a una situazione paradossale: lo Stato smonta il Welfare e il Terzo settore cerca di far fronte alle conseguenze. Non è propriamente questo il concetto di sussidiarietà.

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