Mattarella e Draghi la lezione del XXV Aprile per l’Italia in affanno

Due discorsi pregnanti e decisi - quello di Mattarella e di Draghi - hanno messo al centro della vita del Paese le celebrazioni del 25 Aprile, andando oltre l’occasione di circostanza. Entrambi hanno individuato numerose analogie tra la lotta di liberazione dal nazifascismo e la lotta di liberazione dal Covid andando a fondo su un movimento popolare - quello della Resistenza - che comportò soprattutto una scelta di coraggio non scontata. Come ha spiegato il capo dello Stato «significò combattere, rischiare di morire. Ma significò anche curare, accogliere perseguitati, testimoniare la propria umanità. Significò scrivere e parlare. Preparare con le idee nuove il tempo della libertà per tutti. Significò coraggio e speranza. Fu un atto di coraggio per le generazioni future».

Non è mancato il richiamo all’unità dei cittadini e l’inevitabile analogia con quello che stiamo vivendo da più di un anno a questa parte. I valori e gli ideali di libertà del nostro vivere, i nostri legami di umanità e solidarietà, ci ricorda Mattarella, sono alla base della lotta al Covid che l’Italia intera sta conducendo, dalle prime linee dei reparti di terapia intensiva fino all’ultimo degli italiani. Il filo conduttore è il medesimo, lo stesso processo storico che ha portato dal Risorgimento alla Liberazione, contribuendo alla Rinascita dell’Italia. «Rinascita, unità, coesione, riconciliazione nella nuova Costituzione Repubblicana, furono i sentimenti che guidarono la ricostruzione nel dopoguerra e che ci guidano oggi verso il superamento della crisi determinata dalla pandemia che, oltre a colpirci con la perdita di tanti affetti, mette a dura prova la vita economica e sociale del Paese».

Questo processo porta dietro di sé una lunga scia di sacrifici e di martiri, quelli che popolano, come ha scritto Beppe Fenoglio, «nell’arcangelico regno dei partigiani». Tante storie di ordinario eroismo dimenticate dalla storia. Tante vicende del «sangue più generoso», ha spiegato Ferruccio Parri, «che resta una cosa grande nella storia di un Paese che pareva civilmente e moralmente paralizzato dall’inquinamento fascista». È stato Mario Draghi a ricordare che non si è trattato di diritti di libertà acquistati a buon prezzo, ma di conquiste «più fragili di quanto non si pensi». A leggere quel che è successo durante gli anni della Resistenza, magari andando a ritroso dal 25 Aprile verso gli anni più bui e terribili, quando il nazifascismo pareva invincibile, è incredibile la serie di episodi di eroismo di cui si sono resi protagonisti tanti italiani.

Certi che non sarebbero tornati vivi dalle loro missioni. «Vediamo crescere il fascino perverso di autocrati e persecutori delle libertà civili, soprattutto quando si tratta di alimentare pregiudizi contro le minoranze etniche e religiose», ha proseguito Draghi. Non tutti fecero la scelta di libertà, quando non scegliere era immorale. Non tutti gli italiani furono «brava gente», molti andarono persino oltre l’indifferenza, con atti e atteggiamenti spregevoli come la delazione e la denuncia. Non tutti presero la strada delle montagne o collaborarono con la resistenza delle città e dei villaggi contro la tirannia nazifascista, rischiando di essere deportati nei lager tedeschi insieme agli altri innocenti dell’Olocausto ebraico, come è avvenuto per oltre 23 mila dissidenti politici (la metà non è più tornata) o per migliaia di operai che avevano fermato le fabbriche negli ultimi terribili mesi della repubblica di Salò. La fine fu la stessa. Perché come si legge nell’esergo di Romain Rolland del bellissimo libro «Il coraggio della signora maestra» di Renzo Bistolfi, «un eroe è colui che fa ciò che può, gli altri non lo fanno».

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