Mattarella rassicura
l’Italia ferita

Tra le immagini che non dimenticheremo mai di questi giorni vuoti e terribili c’è quella di Sergio Mattarella che scende solitario i gradini del Vittoriano con la mascherina, in un’atmosfera surreale, interrotta solo da un trombettiere che suona il silenzio. Un evidente rito simbolico che rimandava al senso di responsabilità, alla necessità di mantenere le misure di sicurezza in nome della salvaguardia propria e della collettività. Il Capo dello Stato dava l’esempio, incurante del suo ruolo, o meglio, proprio a causa del suo ruolo. Ci sono pochissimi casi analoghi nel resto del mondo. Il Capo dello Stato ha attraversato l’emergenza coronavirus sempre con discrezione, nel suo stile rassicurante di presenza dietro le quinte, pronto a intervenire per rassicurare il Paese all’occorrenza.

Lo ha fatto anche ieri, in occasione della Giornata mondiale della Croce Rossa, ricordando che il Paese sta affrontando «con energia e responsabilità» l’attuale, difficile prova, con il pensiero ai «concittadini morti per l’epidemia», alle «tante storie strappate agli affetti, spesso all’improvviso». E poi naturalmente l’elogio ai medici e sanitari in prima fila, «che ci ha consentito di superare i passaggi più critici e di progettare ora una ripartenza». Un’altra immagine di Mattarella è quella della sua solitudine. Dall’inizio dell’epidemia attraversa solitario i saloni e gli arazzi del Quirinale, come un eremita delle istituzioni, tenendo a distanza i suoi collaboratori, ricevendo pochissime persone, lontano dai familiari, dai suoi tre figli e dai suoi cinque nipoti. Un altro messaggio, che è un invito alla coerenza, ai sacrifici necessari a superare la Fase 2.

Non altrimenti si può dire delle forze politiche presenti in Parlamento. Ormai da settimane negli emicicli di Montecitorio e del Senato si sono già sguainate le lame per una lotta all’ultimo sangue, senza disdegnare momenti di gazzarra, come se fossimo già fuori dal tunnel e non nel momento più cruciale e delicato della lotta alla pandemia, quella che esigerebbe unità e senso dello Stato da parte di maggioranza e opposizione. Il disegno dei due Mattei, ad esempio, è stato il più visibile. Entrambi si sono appellati all’inquilino solitario del Quirinale per aprire una crisi politica in piena crisi sanitaria, utilizzando il nome di Mario Draghi come grimaldello. Salvini ha occupato il Parlamento. Renzi, che voleva aprire tutto un mese fa, scuole comprese, ha tirato per la giacchetta Mattarella anche ieri, smanioso di una Fase 3 che gli permetta di giocare il tutto per tutto per riemergere dal suo misero 3 per cento.

Ma Mattarella ha continuato a tenere la barra dritta, vegliando con discrezione sul governo Conte e i suoi decreti presidenziali del Consiglio dei ministri e proteggendolo dagli assalti all’arma bianca. Almeno finora (ma è probabile che non cambierà idea nei prossimi giorni). Una crisi di governo al buio, in tempi di coronavirus, è quanto di peggio possa accadere sulla già economicamente disastrata Italia. Mattarella continua a sorvegliare il confine costituzionale tra la libertà personale e le esigenze di salute pubblica, quelle, per intenderci che oscillano tra l’articolo 16 (sull’inviolabilità della libertà personale, ma anche con limitazioni per «motivi di sanità e sicurezza») e l’articolo 32 (la salute come interesse della collettività). Difficilmente si scosterà da quella linea di confine, appellandosi al senso di responsabilità nella ripartenza ma anche di comunità, quella comunità viva di reciproco aiuto di cui i nostri medici e infermieri sono il simbolo: «Evitiamo il contagio del virus e accettiamo piuttosto il contagio della solidarietà tra di noi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA