Messe senza fedeli
Manca l’equilibrio

Quel «no» è un pasticcio, da molti punti di vista. Ed è anche un rischio, cioè che si apra a 400 anni da Galileo, costretto all’abiura sul metodo scientifico e riabilitato da Giovanni Paolo II nel 1992, un nuovo scontro tra fede e scienza. Sul divieto di tornare a Messa va in scena lo scontro scienziati-Chiesa. Ma si doveva proprio arrivare a tanto? Perché non si è riusciti a concordare pazientemente con indispensabile cautela e gradualità un ritorno pur lento alla normalità delle attività pastorali della Chiesa italiana e degli altri culti? Assistiamo al contrappunto di rigidità: da una parte il Comitato tecnico scientifico e il governo che non vuole sentire ragioni, dall’altra la Conferenza episcopale italiana che denuncia la violazione della Costituzione (art.7) sulla libertà di culto e alza la voce del proprio totale dissenso.

Si potevano evitare tali esagerazioni? Sulla mancanza di flessibilità si è consumato ogni tentativo di mediazione e adesso c’è il pericolo reale che ognuno faccia da sé, con presidenti di Regione o sindaci che autorizzano celebrazioni guardando più al consenso che al sensus fidei dei propri concittadini.

Nel Comitato tecnico scientifico si sarebbe potuto inserire un costituzionalista, perché la questione del culto, che vale per tutte le religioni, non è irrilevante in una società complessa soprattutto in tempi di prova. Avrebbe permesso un’interlocuzione più seria nell’approccio della «fase2» e con maggior responsabilità. Un esempio c’è ed è quello della Lettonia, dove tutti i rappresentanti delle religioni hanno avviato fin dall’inizio una dialogo con il governo che voleva chiudere ogni luogo di culto e insieme hanno concordato che non si può sottovalutare il fatto religioso in tempi perigliosi e quindi hanno lasciato aperto con regole di sicurezza, due metri di distanza e massimo 25 persone.

Quando il governo ha tentato poi di stabilire orari per la liturgia imponendo celebrazioni limitate a 15 minuti, il dialogo è ripreso e la decisione annullata. La polizia in Lettonia ha monitorato tutti i luoghi di culto e mai ha elevato alcuna contravvenzione. In Italia c’è stata per lo meno una sottovalutazione. La Cei ha proposto un Protocollo, il governo - che in settimana potrebbe fare retromarcia - con i suoi esperti ne ha contrapposto un altro con misure rigidissime sulla sanificazione delle Chiese dopo ogni Messa, effettuate da ditte specializzate, niente Comunione, celebranti con i guanti e mascherine… Nel governo c’era chi intendeva discutere e chi nemmeno voleva sentirne parlare.

Il buonsenso è scivolato via. Forse tra tutte le task-force ne è mancata una per i luoghi di culto visto che non si tratta solo di chiese cristiane, ma anche di moschee, sinagoghe… Le intese tra lo Stato italiano e le confessioni religiose sono molte, ma il punto non è burocratico. Si tratta di stima per le religioni e le scelte dei cittadini, paradigma non indifferente in una democrazia. La Chiesa cattolica e le altre religioni all’inizio del dramma avevano dato prova di grande responsabilità, tenendo a bada anche estremismi bigotti e radicalismi spirituali.

Davvero non si può riaprire in sicurezza qualche porta dei luoghi di culto? Sembra che l’unica preoccupazione riguardi i funerali. Lo Stato laico dovrebbe occuparsi delle riunioni e non delle liturgie, religiose o laiche, stabilendo regole per tutti: ristoranti, centri estetici, sale giochi e luoghi di culto. Perché un funerale con 15 persone sì e un battesimo con 11 no? E una Messa con dieci fedeli? Se manca assennatezza, equilibrio e competenza tutto si trasforma in battaglie per la libertà, prove di saldezza, contestazioni. Ed per tutti, cittadini e istituzioni laiche e religiose, è davvero un guaio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA