Milano, Europa
la fiducia che aiuta

«Milàn l’è un gran Milàn» detto dalla presidente dell’Unione europea colpisce. Parlare dell’Italia senza ricorrere ai luoghi comuni e dimostrare di conoscerne anche i punti di forza è una novità per l’Europa. Ursula von der Leyen ne ha dato prova in occasione dell’apertura dell’anno accademico all’Università Bocconi. L’ex ministro della Difesa di Berlino ha fatto capire al Paese Italia che Bruxelles non è lontana. Anche perché queste dichiarazioni che sanno di prammatica questa volta sono accompagnate da 209 miliardi e quindi lontane dalla retorica. Il Recovery Fund Next generation Eu è lo strumento che offre all’Italia un’opportunità unica nella storia degli ultimi 75 anni. Abbiamo conosciuto il tempo in cui ci accusavano di essere capaci solo di sperperare denaro pubblico e accumulare debito. Il che potrebbe essere anche vero, ma è pur sempre una mezza verità, se non si dice che il Paese del quale si parla è la terza economia in Europa e l’ottava nel mondo, che l’Italia è Paese fondatore dell’Unione e membro del G7. Anche il governo olandese, che guarda a Roma come al terzo mondo ha dovuto prenderne atto.

L’Europa è una e l’Italia ha una forza produttiva che non può essere ignorata. Ha sacche di sottosviluppo e di criminalità organizzata uniche in Europa. Ma poi, se si guarda a Nord, si scopre un tessuto industriale capillare con eccellenze in vari settori e il cui unico punto debole sta nell’incapacità di crescita dimensionale. Aziende floride all’avanguardia che vengono acquisite dai grandi gruppi o si rassegnano alle medie dimensioni, senza mai osare il grande salto. È un ritardo culturale ancor prima che industriale. Si gioca troppo sul possesso padronale e meno sull’espansione, si preferisce rifornire le grandi aziende europee accontentandosi del ruolo di subfornitori, se pur di qualità.

E poi c’è un altro punto: gli italiani sono esterofili tendono a privilegiare ciò che viene dall’estero, convinti che qui sono troppi i punti deboli per poter alzar bandiera. Lo dice un sondaggio reso noto dalla Camera di commercio italo-tedesca tre anni fa nel quale, chiamati a dare un giudizio sul proprio Paese, gli italiani si dichiarano poco fiduciosi, mentre i tedeschi, per contro, sono convinti nella grande maggioranza di essere i migliori. Ursula von der Leyen ha quindi colto nel segno quando ha esaltato la capitale economica d’Italia, ha fatto capire che per portare un Paese al successo occorre incoraggiarlo, non deprimerlo o deriderlo. Il populismo nazionalistico è messo alle strette e tra i Paesi fondatori dell’Unione, l’Italia vanta ancor oggi la maggiore rappresentanza. L’opposizione di governo ha dovuto votare lo scostamento di bilancio perché non si può dire no alle risorse che andranno ad aiutare gli esercenti, i piccoli imprenditori, le partite Iva. A questo popolo che la crisi ha messo in ginocchio ha parlato Ursula von der Leyen e lo ha fatto a suon di miliardi e in una prospettiva di stabilità e continuità politica.

Sul piano internazionale le prospettive sono buone, Joe Biden alla Casa Bianca facilita le relazioni fra potenze commerciali, il governo nel 2021 ha la presidenza del G20 e al contempo la co-presidenza di Cop26, l’organo Onu sul clima, mentre in Europa, l’Italia conta sul sostegno della banca centrale e su più di un anno senza pressioni di bilancio. Non è manna dal cielo perché la vera sfida è capire come mettere a frutto queste opportunità. Dice il commissario all’Economia Paolo Gentiloni: «L’Italia semplifichi le procedure per spendere i fondi europei».

I dipendenti pubblici sotto i 34 anni nella pubblica amministrazione sono il 2 per cento. I giovani per i quali è pensato il Recovery Fund Next generation Eu sono fuori dalla porta.

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