Minimizzare la realtà
tendenza pericolosa

Le dichiarazioni degli ultimi mesi di autorevoli esponenti di governo, tendenti a sottovalutare i rischi che corre il nostro Paese per l’entità del proprio debito pubblico, hanno pericolosamente influenzato l’opinione popolare. La maggior parte dei cittadini appare ormai convinta del fatto che l’Italia, dunque noi tutti, non corra alcun pericolo; insomma, che non ci sia alcuna ragione di cui preoccuparsi. Basterà contare sugli aggiustamenti automatici che una possibile crescita futura saprà mettere in pratica. Questa mescolanza di fatalità, rassegnazione e persistente mancanza di realismo civico è la prima causa generatrice di quella pericolosissima fragilità sociale che ha prodotto grandi disastri altrove.

Non ci guardiamo più attorno, concentrati come siamo sulle nostre puntigliose beghe di cortile. Ormai indifferenti e insensibili ai grandi problemi del mondo che quando ci investono massicciamente, come nel caso delle immigrazioni, ci vedono incapaci di formulare una qualsiasi analisi sociopolitica che sappia elaborare soluzioni in grado di guardare non solo al presente, ma anche al dovere di un dignitoso lascito generazionale. L’aspetto più singolare, poi, è che di fronte a varie situazioni critiche sul piano economico e sociale che ci caratterizzano da tempo e che non siamo stati in grado di affrontare, troviamo il modo di sottovalutarne la pericolosità. Così, i frequenti richiami alla ragionevolezza che ci giungono dall’Europa vengono giudicati quali indebite intromissioni su questioni nazionali, piuttosto che moniti alla realtà e al senso di responsabilità che ne dovrebbe derivare. A tal proposito, non sono mancate ricorrenti affermazioni di esponenti del governo sull’irrilevanza delle sanzioni della Borsa e del mercato. Reazioni spesso scomposte, accompagnate dal richiamo ad un sempreverde orgoglio nazionalista contro l’Europa, ritenuta responsabile di colpe in realtà prevalentemente nostre.

Questo il clima surriscaldato nel quale è stato varato dal governo lo schema di legge finanziaria nella quale la politica, con la scelta dell’aumento del deficit al 2,4% per tre anni, ha prevalso sulla ragione e sulle competenti indicazioni del ministro dell’Economia. La circostanza che lo stesso Tria, su richiamo del presidente della Repubblica, sia rimasto in carica per scongiurare una crisi sui mercati dà la misura dei rischi ai quali ci siamo esposti. Non più tardi di qualche giorno fa, il 22 settembre, in occasione del 64° Convegno della Corte dei Conti a Varenna (Lecco), il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco aveva dichiarato: «Il rapporto tra debito e prodotto potrebbe rapidamente portarsi su una traiettoria insostenibile. Vanno tenuti in considerazione i vincoli che derivano dall’elevato livello del debito in quanto un aumento improduttivo del disavanzo finirebbe col peggiorare le prospettive delle finanze pubbliche, alimentando i dubbi degli investitori e spingendo più in alto il premio per il rischio sui titoli di Stato. Il conseguente aumento dello spread e dei tassi di interesse avrebbe un impatto negativo sulla crescita».

Di tutto ciò non si è tenuto conto. Il disavanzo rappresenta una spesa aggiuntiva che va a finanziare il cosiddetto «reddito di cittadinanza», che non si sa ancora come potrà essere gestito e per il quale sarà assai difficile individuarne gli effettivi e meritevoli destinatari. Tra i vari rischi vi è anche quello che possa risultare privilegiata, soprattutto al sud ma non solo al sud, una folta schiera di cosiddetti «poveri» che da tempo lavorano in nero. Diverso sarebbe stato se le risorse ottenute con un maggior disavanzo fossero state impiegate per investimenti in grado di aumentare il potenziale di crescita. Con una crescita annua più elevata di un punto e con il ritorno dei rendimenti dei titoli di Stato sui valori registrati all’inizio dell’anno, il rapporto debito Pil si sarebbe avviato su una traiettoria stabile di decrescita. Invece, con questa finanziaria, definita «del popolo», le esigenze elettorali di breve termine, vista anche la vicinanza delle elezioni europee, hanno prevalso sulla ragione «non speculativa» e sulla competenza.

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