Muro col Messico
Giudizio su Trump

Per ribadire la necessità di costruire il muro anti-migranti al confine con il Messico, Donald Trump ha parlato agli americani in diretta dallo Studio Ovale. Ha fatto ciò che fecero John Fitzgerald Kennedy all’apice della crisi dei missili sovietici a Cuba nel 1962 o George W. Bush dopo gli attentati alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Ha scelto, cioè, la modalità più solenne, quella dei momenti decisivi. Rafforzata, se possibile, dal proposito di recarsi di persona al confine con il Messico. Sembra a tutti, a botta calda, che il rischio di una guerra atomica e l’attacco di Al Qaeda all’America costituiscano rischi un po’ più pressanti del flusso di migranti irregolari tra Messico e Usa.

Comprensibile e anche giusto ma non del tutto vero. Nel solo 2018, le guardie di confine americane hanno intercettato 396.579 persone che cercavano di entrare illegalmente negli Usa. Altre 124.511 si sono presentate ai posti di confine con una qualche richiesta di asilo o protezione umanitaria e sono state rimandate indietro, perché considerate prive dei titoli per ottenere l’uno o l’altra. Certo, un tempo andava peggio. Nel 2000 gli intercettati e respinti furono 1,6 milioni, nel 2001, 1,3 milioni. Ma tra quegli anni e questi c’è di mezzo la crisi economica globale, che ha colpito anche gli Usa riducendo i posti di lavoro per gli immigrati. E nel frattempo il pattugliamento della frontiera è stato di molto rafforzato e il muro, che era stato avviato dal presidente repubblicano George Bush senior e poi incrementato dal presidente democratico Bill Clinton, è diventato ancor meno superabile grazie all’impiego di strumenti elettronici.

La politica americana, infatti, non ha mai avuto dubbi sull’utilità del muro, anzi: nel 2006 il Senato, con 83 sì e solo 16 no (quindi con un voto bipartisan), ha approvato una legge per allungarlo e alzarlo.

Proprio di questa legge vuole ora approfittare Donald Trump. Cosa che i democratici sono ben decisi a impedirgli. E qui si vede l’altro aspetto del problema. Quello politico, quello che giustifica lo scontro ora in corso. Il voto di metà mandato ha consegnato ai democratici la maggioranza della Camera dei rappresentanti ma ha lasciato il Senato ai repubblicani, rafforzandone anzi il controllo. Nessuna marea anti-Trump, quindi. In più, tutta la campagna elettorale dei repubblicani è stata caratterizzata dai toni e dai temi cari a Trump. Il trumpismo, insomma, si è imposto come fenomeno tutt’altro che passeggero della politica americana. Il muro al confine con il Messico è stato uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale che ha portato Trump alla Casa Bianca nel 2016. Ricompare ora, a due anni e mezzo da quei giorni, perché segna il colpo d’avvio della campagna elettorale del 2020, quella in cui Trump cercherà di farsi rieleggere e i democratici di farlo cadere. Quindi per il presidente è essenziale che il provvedimento passi, i 5,7 miliardi di dollari vengano investiti e il muro si faccia. Per i democratici esattamente l’opposto.

In questo momento la maggiore responsabilità politica grava sulle spalle di Trump. Quando i democratici, alla Camera, hanno bloccato il finanziamento per il muro, lui ha rifiutato di firmare la legge di bilancio, determinando così lo shutdown (chiusura, blocco) di tutta una serie di uffici governativi. Con disagio per i loro impiegati, che tra breve potrebbero non ricevere lo stipendio, e per i cittadini. Per questo Trump drammatizza molto la situazione e, a proposito del confine con il Messico, parla del traffico di droga e della criminalità comune, oltre che dei migranti irregolari. I democratici resistono, lo shutdown tecnicamente non dipende da loro. Ma qual è il vero umore dell’America profonda, visto che le elezioni di metà mandato hanno punito Trump ma non hanno premiato i democratici?

Quello di cui davvero si discute in questi giorni, quindi, non è la liceità o l’efficacia del muro ma la sopravvivenza politica di Trump e soprattutto del trumpismo. Come il voto del novembre scorso ha dimostrato, il presidente deve rimontare l’ostilità dei giovani e soprattutto delle minoranze, che prendono sempre più «peso» nel corpo totale dei votanti e che gli sono ostili. Per vincere nel 2020, The Donald dovrà compattare dietro di sé l’America bianca. E questo del muro è un test già decisivo.

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