Nè politica, né giustizia
Era soltanto umanità

Il «caso Diciotti» non è chiuso. Il Tribunale dei ministri di Catania ha chiesto l’autorizzazione a procedere contro il ministro degli Interni Matteo Salvini, in merito al caso della nave della Guardia Costiera con a bordo 174 naufraghi (uomini, donne, bambini) salvati al largo del Mediterraneo. Il Viminale ordinò il divieto di sbarco e il pattugliatore della Guardia Costiera rimase ormeggiato nel porto della città etnea dal 20 al 25 agosto, con il suo carico di migranti impossibilitati a toccare terra. Diversamente da quanto sollecitato dalla Procura guidata da Carmelo Zuccaro, i tre giudici che hanno esaminato il fascicolo ritengono che ci siano elementi per procedere contro Salvini.

Il ministro, scrivono i giudici, bloccando la procedura si sbarco, avrebbe privato della loro libertà personale i migranti, «violando le convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare e le correlate norme di attuazione nazionali». Per il procuratore catanese Zuccaro, che aveva chiesto l’archiviazione, quella di Salvini era stata «una scelta politica non sindacabile dal giudice penale». Che tipo di scelta politica? Quella di «chiedere in sede europea la distribuzione dei migranti in un caso in cui secondo la convenzione Sar internazionale (acronimo di search and rescue, ricerca e salvataggio in mare) sarebbe toccato a Malta indicare il porto sicuro». Insomma, per il procuratore di Catania il caso è politico. Ma per i giudici del Tribunale dei ministri la politica non c’entra. Il caso è penale. La differenza tra le due sentenze sta tutta qui, e non è una questione di poco conto.

Nella sua richiesta per l’autorizzazione a procedere, i tre magistrati sono stati chiari: «L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare». Tenere per giorni dei naufraghi dentro una nave, bambini compresi, rendergli la vita difficile, privarli della libertà, è un’ipotesi di reato.

Ma la politica in questa vicenda non esce di scena. Anzi. A dare l’autorizzazione a procedere per giudicare Salvini dovrà essere il Senato e già si prevede il dibattito infuocato che ne sortirà. Dibattito già innescato dal solito stile ruvido e un po’ guascone del ministro degli Interni, che in un post Facebook scrive: «Ci riprovano. Rischio da 3 a 15 anni di carcere per aver bloccato gli sbarchi dei clandestini in Italia. Non ho parole. Paura? Zero. Continuo e continuerò a lavorare per difendere i confini del mio Paese e la sicurezza degli italiani. Io non mollo. (…) Se sono stato sequestratore una volta ritenetemi sequestratore per i mesi a venire».

Come era prevedibile Salvini – in campagna elettorale permanente – sfrutterà la sua imputazione per farne un caso politico, in vista delle elezioni europee. Niente di meglio per il segretario della Lega che quell’assist dei giudici: «Chiedo agli italiani se ritengono che devo continuare a fare il ministro, esercitando diritti e doveri, oppure se devo demandare a questo o a quel tribunale le politiche dell’immigrazione. Le politiche dell’immigrazione le decide il governo, non i privati o le Ong, se ne facciano una ragione».

Ma forse un dibattito in Senato su un argomento così importante, quello legato alla dignità di 174 naufraghi –174 uomini, donne bambini, carne, cuore muscoli, anime, in una parola persone - impossibilitati a sbarcare da una nave sul suolo italiano, non può che fare bene a questo Paese. Forse qualcuno capirà – al di là degli esiti giudiziari - che difendere la patria, il sacro suolo italiano, non significa negare aiuto a 174 anime che stavano affogando nel Mediterraneo in cerca di fortuna. Assisterle non era né politica né giustizia. Era umanità.

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