Noi italiani
inconsapevoli

A un’ipotetica domanda su quale sia il principale problema del nostro Paese, le prevalenti risposte degli italiani si concentrerebbero per lo più sul sovraccarico di tasse da pagare, sull’eccesso di burocrazia, non mancherebbero i detrattori della mafia, altri punterebbero il dito sulla diffusa corruzione, altri ancora sull’immigrazione irregolare e sulla disoccupazione, ci sarebbero poi i soliti vaghi anatemi contro l’Europa. Tutti aspetti molto seri e sentiti. Ci sarebbe da chiedersi, tuttavia, perché in questo comune sentire non rientrino quasi mai tematiche altrettanto decisive per il futuro nostro e dei nostri figli quali la scuola e la formazione. Eppure, è proprio lì che risiede il vero nervo scoperto di ogni società. È solo prendendosi cura e allenando costantemente il patrimonio intangibile della conoscenza, che è possibile agire producendo i necessari aspetti tangibili utili al vivere individuale e comunitario.

Lo scorso anno l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha avviato una ricerca - Program for the international assessment of adult competencies - allo scopo di valutare le competenze all’interno di 33 Paesi del mondo. Nell’ambito di tale programma è stata sviluppata un’analisi sul fenomeno dell’analfabetismo funzionale. Secondo l’Ocse, «analfabeta funzionale è un individuo incapace di usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni quotidiane». Ebbene, nel nostro Paese tali prototipi rappresentano il 47% della popolazione. Siamo penultimi in Europa, preceduti solo dalla Turchia (55%) e quart’ultimi rispetto ai 33 Paesi analizzati dall’Ocse, con performance solo migliori di Cile e Indonesia.

Ogni anno Ipsos Mori, azienda inglese di indagini e ricerche di mercato, stila la classifica dei popoli ritenuti più ignoranti, perché ignorano la realtà che li circonda, chiamata «Perils of perception», letteralmente «Pericoli della percezione». L’indagine si basa su interviste a campione a 11.000 persone per ogni nazione, alle quali vengono poste delle domande su statistiche relative a fenomeni di una certa rilevanza. Nella ricerca del 2017, l’ultima pubblicata, l’Italia si posiziona ultima in Europa in quanto le risposte date evidenziano che gli italiani «ignorano» l’effettiva dimensione di molti fenomeni e vivono nella reale convinzione che tutto vada peggio. Si crede, ad esempio, che il 30% della popolazione sia composta da immigrati (in realtà è l’8%), che il 20% siano musulmani (in realtà solo il 4%), che i disoccupati siano il 49% (in realtà sono il 12%). La conclusione alla quale giunge l’indagine è che viviamo come in un incubo che deriva dalla scarsa capacità di informarsi sulla concreta dimensione dei fenomeni. Una mancanza individuale di consapevolezza sulla quale non pochi leader politici speculano quotidianamente con affermazioni e numeriche che allargano il comune senso d’insicurezza e di rabbia. Non a caso, durante la recente crisi economica le poste di bilancio dedicate all’istruzione, alla ricerca e alla formazione, pur risultando tra le più basse in Europa, sono state tagliate del 10%, contro una media di tagli del 2%.

Secondo l’Istat siamo l’unico Paese in Europa in cui i laureati siano meno del 20% della popolazione, dietro Grecia e Romania. Siamo anche l’unico Paese tra i grandi d’Europa ad aver visto decrescere, negli ultimi 10 anni, gli occupati in posti ad alta specializzazione. Ancor più grave è che i ragazzi che si laureano nel nostro Paese provengano, nella maggior parte dei casi, da uno strato sociale ricco o benestante. Ciò testimonia oltremodo come la scuola stia sempre più drammaticamente smettendo di svolgere quell’imprescindibile ruolo di ascensore sociale, un tempo capace di offrire speranze e opportunità ai migliori. Molti di quei migliori, non dimentichiamolo mai, portavano dentro sé la voglia di riscatto, la dignità, il senso dell’onestà e gli indicibili sacrifici di padri e madri che hanno fatto grande il nostro Paese.

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