Ora non si parli
di una fatalità

Ieri la morte ha allestito la sua faccenda in uno dei panorami più belli d’Europa, quel Mottarone che domina il Lago Maggiore dalla sponda piemontese e da cui si possono ammirare panorami mozzafiato, tanto caro ai varesini e ai lombardi, perla di uno dei distretti turistici più belli e frequentati al mondo. Il sole abbagliante che illuminava quella valle verde, quello specchio d’acqua che incorniciava le isole Bella, Madre e dei Pescatori fa da contrasto straziante a quella tragedia immane. Quattordici morti, quattro famiglie distrutte e un solo sopravvissuto, un bambino di cinque anni che lotta per la vita e per il quale tutta l’Italia sta pregando. Quelle famiglie siamo noi, quel figlio è figlio nostro, a tutti è capitato di fare una gita a Stresa e salire sul pianoro che incombe alle sue spalle, sotto la luce cruda di una giornata che già preannuncia l’estate come quella di ieri.

Ma per favore, non chiamiamola fatalità. Quel che è accaduto, questa tragedia di casa nostra, probabilmente comporta delle responsabilità che la magistratura inquirente deve accertare. Come è possibile che in Italia, in quella Lombardia volano dell’industria e del progresso, un cavo portante di un impianto sciistico si spezzi facendo precipitare la cabina fino a farla rotolare per decine di metri fino ad accartocciarsi contro un pilone?

Era dal 3 febbraio 1998, dalla tragedia del Cermis, quando un cacciabombardiere americano tranciò di netto il cavo portante della funivia della Val di Fiemme, provocando venti morti, che non avvenivano incidenti mortali negli impianti. Pensavamo che in 23 anni il progresso tecnologico e le misure di sicurezza ci avrebbero fatto dimenticare per sempre l’eventualità che si ripetessero, rendendo finalmente impossibile che un cavo d’acciaio potesse spezzarsi da solo per usura. L’ impianto della funivia è stato completamente revisionato e sottoposto a manutenzione straordinaria tra il 2014 e il 2016. La funivia venne infatti chiusa nel 2014 e riaperta il 13 agosto 2016. Poi è stata chiusa per alcuni mesi per le restrizioni dovute al Covid e riaperta recentemente: era rientrata in funzione lo scorso 24 aprile.

Che cosa non ha funzionato? Chi doveva sorvegliare la tenuta dei cavi? Quali controlli sono stati assicurati? Quali test sono stati approntati? E se non sono stati approntati, perché non lo si è fatto? Per negligenza, disattenzione, risparmio sui costi di manutenzione? La funivia del Mottarone è strutturata in due tronconi con due cabine della portata di 35 persone. Il primo troncone parte a 205 metri sul livello del mare, in località Lido di Carciano, a Stresa, e raggiunge la località Alpino, dove si trova il Giardino botanico Alpinia, popolarissima meta delle gite scolastiche. Il secondo parte dagli 803 metri di Alpino e raggiunge un pianoro immediatamente sotto la vetta del monte, posto a 1.385 metri. L’intero tragitto dura circa 20 minuti. Da questa posizione è possibile raggiungere i 1.491 metri della vetta a piedi o per mezzo di una seggiovia, che fu realizzata nel 2009. I turisti ieri volevano semplicemente trascorrere una giornata di relax.

Siamo alla terza tragedia del dopoguerra per numero di vittime, dopo le due del Cermis (la prima, la più terribile, accadde nel 1976, provocando la morte di quarantadue persone, tra cui quindici bambini). La natura qui non c’entra. È l’uomo che avrebbe dovuto evitare tragedie simili. Ed è per questo che il Capo dello Stato Sergio Mattarella nel suo messaggio di cordoglio ha unito il richiamo «al rigoroso rispetto di ogni norma di sicurezza per tutte le condizioni che riguardano i trasporti delle persone». Ora è il momento del dolore e del pianto. Poi verrà quello della giustizia per una tragedia inaccettabile. Dovrà accertare le responsabilità penali e civili su quel che non doveva accadere e invece è accaduto ancora una volta.

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