Otto voci,
una bussola
per capire l’Europa

Matrigna brutta e cattiva, come oggi molti la dipingono, o madre buona che pur con qualche difetto può ancora raccogliere attorno a sé una robusta famiglia, capace di affrontare il mondo con la forza necessaria? Può ancora essere quella «forza gentile» descritta anni fa dal ministro Tommaso Padoa-Schioppa o i tempi sono cambiati? Oggi più che mai, parlare di Europa è fondamentale, anche perché tra soli 80 giorni quasi 400 milioni di persone saranno chiamate a rinnovare gli oltre 700 membri del Parlamento della Ue, il cui futuro sembra essere sempre più traballante. Andare a votare non sarà solo un diritto e un dovere a cui nessuno dovrebbe sottrarsi, ma - mai come questa volta - sarà necessario andarci ben informati, evitando di accodarsi stupidamente ai consueti luoghi comuni, per definizione sempre troppo affollati.

Servirebbe una sorta di bussola per orientarsi meglio in delicate questioni che pochi di noi si sforzano di capire e che a molti, purtroppo, nemmeno interessano, pur essendo dirimenti per il nostro il futuro e quello dei nostri figli. Lungi dalla convinzione di essere esaustivi, un contributo in questa direzione vuole darlo anche «L’Eco», che da oggi, per otto sabati consecutivi, offrirà ai lettori altrettante interviste a politici e uomini di cultura di livello nazionale e internazionale con l’intento di capire cos’è l’Europa, come dovrebbe essere, e perché oggi riveste un ruolo così importante. Si comincia con Andrea Riccardi, storico di assoluto livello e fondatore, nel 1968, della Comunità di Sant’Egidio, movimento laicale conosciuto oltre che per l’impegno sociale e i numerosi progetti di sviluppo nel Sud del mondo, anche per il suo lavoro a favore della pace e del dialogo. Ma dopo di lui si alterneranno altre personalità di assoluto rilievo, quali il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, gli ex premier Paolo Gentiloni e Mario Monti, il giurista Sabino Cassese, il filosofo della complessità Mauro Ceruti, l’accademico Carlo Ossola e l’economista Stefano Zamagni, tutti ampiamente titolati a discutere del tema.

L’Europa, questa Europa, ha innegabilmente seri problemi da affrontare in modo corale e anche coraggioso. Il lavoro prima di tutto, l’occupazione giovanile, una fiscalità davvero comune, il governo dei flussi migratori e – alla base di tutto – un autentico processo di integrazione politica. Questioni serie e decisive che devono essere affrontate ora, con urgenza, e con un approccio equilibrato, nel solco della miglior storia del Vecchio Continente.

Al di qua delle Alpi, dentro i nostri confini, l’Unione Europea è oggi fortemente osteggiata, dando vita ad una prospettiva pericolosa e, per certi versi, drammatica, perché - come acutamente osserva Andrea Barbano nel suo ultimo saggio «Le dieci bugie» - l’Italia «rischia di trasformarsi, da Paese fondatore, in cavallo di Troia per colpire al cuore l’Europa, diventando il cuneo di una triangolazione che da Est a Ovest, per interessi diversi, punta a destabilizzare il già fragile assetto politico del Vecchio Continente». Quello dei populismi e dei nazionalismi è il vero problema con cui oggi l’Europa si deve confrontare. Il tempo delle contrapposizioni tipicamente politiche tra destra e sinistra, tra conservatori e progressisti d’impronta europeista sembra avere meno margine rispetto al recente passato: oggi gli schieramenti sono mutati. Da una parte c’è chi pensa ad un’Europa vera, forte, unita nel difendersi dai continui e sempre più insistenti attacchi di Trump e Putin (mentre la Cina «saccheggia» il meglio che c’è sul mercato....), dall’altra c’è chi vuol tornare allo Stato sovrano, al sovranismo, ignorando che è proprio questa la strada più breve per indebolire la sovranità di un Paese.

«L’europeismo - ammonisce Riccardi nell’intervista che trovate nelle pagine che seguono - è una necessità se vogliamo salvare la nostra civiltà e la nostra identità di italiani». E non può essere diversamente. L’«America first» di Trump è un’implicita dichiarazione di guerra all’Europa, passando dal ruolo della Nato al peso dei dazi commerciali. Da una parte, l’alleato (?) atlantico cerca alibi per «liberarsi» dal peso del Vecchio Continente, dall’altro, chi mira a prenderne il posto - lo zar Putin - non perde occasione per insinuarsi e sparigliare le carte. E, ancora una volta, la prospettiva del nostro Paese richiama la sorte di don Abbondio, vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro. Posizione miope e autolesionista.

«L’Italia - annota con saggezza Barbano - sembra muoversi tra questi disegni costruttivi con una consapevolezza ciecamente ideologica o, peggio, irresponsabilmente elettorale. Così rischia di esserne il detonatore. Ignora, l’Italia dei populisti a palazzo, una domanda decisiva, che interroga la coscienza dei cittadini europei: dopo l’Europa, cosa c’è oltre? La storia ci insegna che le frontiere del Vecchio Continente hanno garantito brevi intermezzi di pace tra conflitti lunghi e sanguinosi. La prudenza ci suggerisce che la divisività di Paesi non più vincolati a un comune progetto politico si espone, nel mondo globale, alle pressioni e agli appetiti di conquista di nuove e vecchie potenze». Il rischio isolamento, per l’Italia, è dietro l’angolo, e non è una bella notizia. Forse conviene rifletterci.

© RIPRODUZIONE RISERVATA