Parole e segni
a custodia del bene
«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Giovanni 15,13). Le parole di Gesù nella sera dell’addio potrebbero valere come didascalia al murale sul nostro ospedale, che è ormai diventato un’icona. Anche quando saltano gli ormeggi e veniamo travolti da impetuosi flutti, l’unico atteggiamento che garantisce umanità al nostro travaglio è la dedizione. Fatta di cure che non si limitano ai medicinali, ma si concretano di carezze e magari di tablet, avvicinati al capezzale per offrire la prossimità dei volti più cari.
La memoria liturgica del Giovedì Santo propone di cogliere dentro questi slanci non soltanto l’istinto di sopravvivenza, ma la verità più intima di Dio nei nostri confronti. La manifestazione autentica della sua potenza, infatti, è nel gesto del grembiule indossato per lavare i piedi dei discepoli riluttanti. Questa sera i credenti non potranno comunicarsi all’Eucaristia, ma mai come quest’anno è dato loro di ammirare e rendersi protagonisti di gesti di generosità di cui il Vangelo ha bisogno per rendersi credibile. Secondo Gesù, il giudizio definitivo sulla storia sarà legato proprio a questo tipo di miracoli: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare…, ero malato e mi avete visitato…» (cfr. Matteo 25,31-46).
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