Per far fronte ai problemi occorre una visione, senza crescita non c’è lavoro

Il commento. Si chiama internazionalizzazione ed è un bene che la classe politica la rappresenti e ponga il problema. Quello che stona è il rivolgersi alle platee politiche degli altri Paesi. La politica interna italiana è marginale per l’opinione pubblica straniera.

Agli altri Stati ci si rivolge per inviare messaggi che trattino problemi comuni come la crisi energetica e il tetto al prezzo del gas portato avanti dal governo Draghi. La verità è che i due leader dei fronti contrapposti, Meloni e Letta, volevano rassicurare. Sanno che il problema italiano è reputazionale e il messaggio è chiaro: la nostra parte politica è affidabile. L’Italia vive allo stato attuale di due fattori: un surplus di export e un surplus di finanziamenti. Il primo viene da un’industria manufatturiera che produce ed esporta con successo e l’altro viene da fuori.

L’Italia come Paese non cresce in competitività e produttività complessiva da più di 20 anni. In questi ultimi la politica invece di introdurre programmi per invertire la tendenza ha fatto di tutto per assecondare il declino

È la Bce che finanzia il debito e fa ridurre il differenziale di interessi con il Bund tedesco. La domanda che ci si pone è perché con una vitalità industriale così marcata il Paese debba farsi sostenere dalla Bce. La risposta è che al terzo debito in percentuale più alto al mondo dopo Giappone e Grecia non corrisponde un’altrettanta crescita del Pil. L’Italia come Paese non cresce in competitività e produttività complessiva da più di 20 anni. In questi ultimi la politica invece di introdurre programmi per invertire la tendenza ha fatto di tutto per assecondare il declino. Ed è proprio questa inazione che crea instabilità. La politica media, rimanda ma non decide. La globalizzazione ha mutato gli equilibri negli Stati e tra gli Stati. Interi strati sociali si sono impoveriti, il mondo del lavoro è diventato terra di conquista e la precarietà ne è diventato il simbolo. Per far fronte al problema occorre una visione. Difendere i posti di lavoro non basta se non si pensa a come crearne di nuovi. Il risultato è che alcuni Stati dalla globalizzazione hanno tratto vantaggio e hanno consolidato le loro posizioni internazionali. Altri come l’Italia, no. Questo ha generato instabilità sociale. I ceti impoveriti non sono stati sostituiti dai nuovi ceti urbani. La globalizzazione distrugge posti di lavoro ma ne può creare di nuovi soprattutto nei settori ad alta tecnologia.

La percentuale di inattivi è di più di 6 milioni e sono quelli che non hanno competenze per trovare una sistemazione stabile. Tutto ciò si riflette sulla politica che misura una forte quota di astensionismo, con solo l’1% della popolazione adulta che si iscrive ai partiti

In Italia un processo che riguarda solo poche aree del Paese concentrate al Nord. La percentuale di inattivi è di più di 6 milioni e sono quelli che non hanno competenze per trovare una sistemazione stabile. Tutto ciò si riflette sulla politica che misura una forte quota di astensionismo, con solo l’1% della popolazione adulta che si iscrive ai partiti. Tutti però possiedono un cellulare e seguono le notizie. Da qui la tentazione della politica per la comunicazione ad effetto: quella degli annunci mirabolanti per un popolo che non ha tempo per approfondire e si affida all’estemporaneità. È la società liquida ed il fenomeno non è solo italiano. In fin dei conti l’elettore vuole semplificazione. Ed ha ragione perché i problemi del Paese sono tanti e la classe politica li deve illustrare con chiarezza. Ma alla chiarezza deve corrispondere responsabilità. Altrimenti accadrà ancora quello che ha segnato la scorsa legislatura: tante proteste ma al dunque ci si è dovuto affidare ancora al salvatore della patria. La classe politica ha molti diritti ed un solo dovere: saper dire no.

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