Ponte di Genova,
l’orgoglio italiano

Il triplo passaggio delle Frecce tricolori e il suono delle sirene delle navi ormeggiate al porto è stato l’unico strappo alla regola di una cerimonia giustamente mesta, quella dell’inaugurazione del nuovo ponte «Genova-San Giorgio» progettato dall’architetto di fama internazionale Renzo Piano, genovese che non ha mai rinnegato i suoi natali pur vivendo lontano dalla città della Lanterna. La ferita dei 43 morti non si rimargina, ha sottolineato il presidente della Repubblica Mattarella, e come ha giustamente detto il premier Conte, impone una reazione dello Stato in termini di contestazione degli accordi, di cambiamento della governance e della concessione.

I familiari delle vittime erano stati invitati a partecipare alla cerimonia, ma avevano opposto il rifiuto perché ritenevano che l’evento prendesse un indirizzo troppo festoso. Così non è stato. Il Comitato dei congiunti ha anche accettato che sul ponte venissero letti i nomi dei loro familiari morti. Sentire quei nomi scanditi in un’atmosfera surreale ha reso tutto il peso di quella immane tragedia che esige giustizia, e che come ha giustamente detto il procuratore di Genova non potrà mai andare in prescrizione, esattamente come le stragi di Stato.

Detto questo, è impossibile non riconoscere in quest’opera, progettata e realizzata mirabilmente, un simbolo della rinascita italiana, proprio in relazione a un’altra grande tragedia, quella legata alla pandemia del Covid-19. Durante i giorni terribili del contagio il cantiere non si è mai fermato e ha realizzato il nuovo viadotto che attraversa il Polcevera, congiungendo Ponente e Levante, a tempo di record, «frutto del genio italico», come lo ha definito il presidente del Consiglio. Ecco perché la cerimonia di ieri ha avuto una doppia funzione, quella di celebrazione delle vittime, di commiato, e quella di inaugurazione di una nuova stagione, di un nuovo slancio di un Paese che è sempre stato pronto a risollevarsi dopo i periodi bui della sua storia: il dopoguerra, il terrorismo, i terremoti e le altre sciagure ambientali (cui Genova non è certo estranea).

Il ponte è di per sé qualcosa che unisce, che permette di superare difficoltà, come un fiume, uno strapiombo o una valle, di andare oltre, il ponte è comunicazione, condivisione, scambio di idee merci, persone. Ecco perché dobbiamo esserne orgogliosi e affidarci a quella straordinaria immagine dell’arcobaleno che circonda come un’aureola la nuova opera genovese, per sperare in un’Italia migliore, capace di risollevarsi.

«Non siamo qui per tagliare un nastro, e forse non è neanche facile abbandonarsi a intenti celebrativi. È ancora troppo acuto il dolore della tragedia», ha detto Conte. «Questo Ponte ci restituisce un’immagine di forza e anche di leggerezza», ha aggiunto il premier. Poiché «il Ponte di Genova è un’opera mirabile frutto del genio italico, di una virtuosa collaborazione tra politica, amministrazione locale, impresa e lavoro».

Forse qualcuno la prenderà come una dichiarazione un po’ retorica, ma quel lungo viadotto che da ieri crea Genova una sola città, con i suoi 43 lampioni che illumineranno dal tramonto il passaggio delle auto, in ricordo delle vittime, rimarrà una testimonianza tangibile di quello che può fare il nostro Paese per rialzarsi e girare pagina.

Una testimonianza realizzata – cosa non da poco in Italia – attraverso l’armonia e la concertazione di tutte le forze politiche, sociali economiche in campo, senza alcuna distinzione di appartenenza politica. Davvero un gran risultato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA