Povertà, la risposta
del Papa è la giustizia

L’appello di Papa Francesco è chiaro e al tempo stesso impegnativo. Lo ha declinato in due parole ieri all’Angelus nella quinta Giornata dei poveri. «Agire subito». È la lezione che viene dalla pandemia e che, tuttavia, deve essere colta nella sua integrità ascoltando, ha spiegato, il «grido dei poveri unito al grido della terra». Mentre a Glasgow Cop26 sostanzialmente falliva gli obiettivi, da piazza San Pietro Bergoglio riconsiderava la questione, invitando a leggere l’orizzonte nella sua complessità. Non è solo un problema di centrare obiettivi, spesso impossibili, ma di rivedere i modelli di sviluppo che impediscono il cambiamento.

Altrimenti i poveri continueranno ad aumentare, anzi, ha detto con parole drammatiche Francesco, saranno sempre «oppressi» e «talvolta schiacciati» perché sono l’anello più fragile della «catena». Dunque la riflessione va approfondita sulla «catena» e sui paradigmi teorici di riferimento dell’attuale sistema economico, dove la giustizia, strumento principale nell’opera di costruzione del bene comune dell’umanità, non ispira più, semmai lo avesse fatto in passato, le politiche pubbliche e private. Il capitalismo va cambiato perché non è affatto vero, come la storia ha già dimostrato, che esso trova sempre e comunque punti di equilibrio in grado di correggere le sregolatezze.

Invece bisogna agire con «scelte e gesti concreti» per aiutare chi è in difficoltà. E l’accenno fatto ieri, nell’omelia della Messa, all’impegno sociale e politico dei cristiani è l’invito a rendere sistemiche le trasformazioni, per evitare l’impressione di una liberazione che «non sembra arrivare mai». In poche frasi prima nell’omelia e poi all’Angelus Bergoglio ha prima di tutto proposto quella che il professor Leonardo Becchetti, economista e principale teorico della cosiddetta «economia di Francesco», chiama la «perimetrazione delle macerie». È la storia segnata da «tribolazioni, violenze, sofferenze e ingiustizie». Ognuno con un po’ di buona volontà può trovare i numeri e le storie. Uno su tutti, ad esempio: un terzo della produzione mondiale di cibo finisce nella spazzatura, mentre 462 milioni di persone, dati Onu, non ne ha abbastanza. Ecco come la «catena» del cibo genera ingiustizie e dunque va spezzata e va fatto subito senza attendere «passivamente», ha ammonito Bergoglio, che domani le cose migliorino. Per lui la sfida tuttavia non è teorica, né affatto dialettica, scontro tra scuole di pensiero e gestione dell’«ottimismo beato». Ieri ha sottolineato di nuovo che dalle crisi vanno tratte lezioni, insistendo sui gesti concreti, sull’agire subito modificando assetti organizzativi e stili di vita per spezzare la catena del «denaro», dell’«apparenza», del «benessere fisico».

Se si investe qui, l’impresa non riuscirà con il solo risultato di allargare ulteriormente il perimetro delle macerie. E a chi dice «io non so cosa fare» il consiglio del Papa è immergersi nella storia, guardare in faccia i poveri, prendere in mano le macerie, gli scarti dell’economia, e non voltarsi infastiditi davanti a chi ci presenta il conto del dolore, felici della perversa normalità di oggi dove la legge della competizione è diventata strumento di sopraffazione tra i popoli, globalizzazione dell’indifferenza, anestetico di molte coscienze, anche cristiane. Ogni giorno aggiunge un capitolo alla riflessione e spesso si ripete con l’unica preoccupazione, davanti ad un mondo che si sta esaurendo in una successione di drammatiche crisi, che quello di domani sia migliore e non più governato da gruppi irresponsabili pubblici e privati che spazzano via risorse naturali e frantumano risorse umane.

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