Produzione industriale, se L’Italia non innova

ITALIA. Siamo allo zero virgola. Secondo «Prometeia» l’aumento del Pil per l’anno in corso è di 0,6%. Per il prossimo, se tutto va bene, si arriva allo 0,7%. Certo la Germania fa peggio.

Secondo il Fondo monetario internazionale la previsione è dello 0,2% e gli industriali tedeschi lanciano l’allarme per la crisi più grave dalla fondazione della Repubblica Federale Tedesca. Il cancelliere Merz fa sapere che a questo punto si rende necessaria una revisione del programma di governo. Col che si intende mettere mano allo stato sociale, dalle pensioni al sistema sanitario nazionale, il più caro al mondo. Retaggio di quando la Germania inondava il mondo di automobili e macchinari e creava surplus commerciali intorno al 9%, una cifra spropositata. Ma i socialdemocratici hanno un elettorato di pensionati e nostalgici dei bei tempi e faticano a seguire le leggi di mercato. Per Andrea Nahles, capo dell’Agenzia federale del lavoro, le opportunità di trovare un posto non sono mai state così basse come adesso. A Berlino non hanno ancora trovato un nuovo acceleratore di sviluppo che sostituisca quello che l’ex cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt definiva il «Modello Germania».

Dal 1995 al 2024 la crescita media è stata dello 0,3%. Secondo l’Istat nel report «Misure di produttività-anni 1995-2024», tutti gli indicatori risultano in flessione. La produttività del lavoro diminuisce dell’1,9% e in alcuni comparti dei servizi si registrano cali marcati

E qui torniamo in Italia dove trovare un nuovo percorso di crescita diventa una priorità. Dagli anni ’90 in poi il tallone di Achille dell’economia è stata la produttività. Dal 1995 al 2024 la crescita media è stata dello 0,3%. Secondo l’Istat nel report «Misure di produttività-anni 1995-2024», tutti gli indicatori risultano in flessione. La produttività del lavoro diminuisce dell’1,9% e in alcuni comparti dei servizi si registrano cali marcati. Il tutto quando il 60% delle imprese ambisce ad adottare l’Intelligenza Artificiale nei processi lavorativi ma è frenata dalla mancanza di competenze in azienda e dalla penuria di personale qualificato sul mercato del lavoro. Un problema che si trascina nel tempo e che presupporrebbe un piano straordinario di formazione alle nuove tecnologie che finora non è entrato nell’agenda della politica. E qui si palesa il vero problema di questo governo. Ad un ministro all’Economia e alle Finanze, Giorgetti, che ha messo in sicurezza i conti dello Stato, non corrisponde altrettanto slancio al ministero delle Imprese e del Made in Italy. È il dicastero cui fa capo la politica industriale, l’innovazione e la competitività. Da 36 mesi la produzione industriale, con qualche alto e basso, è in calo. Si è assistito ad un rincorrere di crisi aziendali. Stellantis promette un milione di veicoli prodotti in Italia e allo stato attuale siamo a 400mila. All’ex Ilva di Taranto i sindacati e anche gli imprenditori lamentano una visione di insieme. Il fascicolo nel frattempo è passato a Palazzo Chigi e il decreto energia al ministero dell’Economia.

Il 50% dei profitti tech finisce in Usa. All’Italia maestra nel gestire le emergenze e perennemente in difficoltà nel predire gli avvenimenti, forse potrebbe aiutare il Piano di ripresa e resilienza

Il problema di Meloni è una classe politica non sempre all’altezza dei compiti istituzionali. E del resto l’idea di affidarsi solo ai fidi del partito e ai legami familiari non paga, quando sono richieste competenze tecniche e di gestione. Adesso anche in campo politico avverso e nella classe dirigente del Paese le qualità politiche di Meloni vengono apprezzate. Il prestigio acquisito a livello internazionale lo testimonia. E questo potrebbe indurre il governo a riconoscere di più il merito e non l’affiliazione politica. Sia a Roma che a Berlino le chiavi di sviluppo sono sostanzialmente due: l’innovazione tecnologica e il costo dell’energia. Per far questo ci vuole programmazione di sistema. Il modello di sviluppo passa per la capacità di creare valore. È quello che fanno gli americani. Il 50% dei profitti tech finisce in Usa. All’Italia maestra nel gestire le emergenze e perennemente in difficoltà nel predire gli avvenimenti, forse potrebbe aiutare il Piano di ripresa e resilienza. Ha portato nei ministeri italiani la cultura della gestione. Meno improvvisazione e più previsioni di lungo termine. Se così fosse sarebbe il grande lascito dell’Europa al governo del Paese.

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